Era il tempo dei “bicicli”

Bassano del Grappa, estate 1906.

wilier_stemmaLe montagne, laggiù all’orizzonte, erano solo uno sfondo ameno. Non si avvertiva ancora alcun presagio della furia marziale che qualche anno più tardi le avrebbe violate e rese sacre agli italiani. Anche qui, a Bassano, in riva al Brenta, si iniziava a respirare una certa aria di Belle Époque. La tecnica mostrava prodigi, rometteva rivoluzioni, esaltava le menti, soprattutto quelle più audaci e intraprendenti. Anche la bicicletta era cambiata molto. Rispetto ai prototipi francesi di cinquant’anni prima i concetti dello sterzo, della trasmissione, del freno, l’impiego dei materiali, la comodità e l’estetica avevano compiuto enormi passi in avanti. Sui cavalli d’acciaio, ora bicicli, i giovani benestanti bassanesi erano soliti pavoneggiarsi agli occhi delle fanciulle, sfoggiando l’equilibrio sulle due ruote come prodezza da temerari. Nei primissimi anni del secolo le biciclette non erano ancora molto diffuse e pochi potevano permettersele. Giravano soprattutto marche straniere e i negozi che le vendevano e riparavano non erano sempre a portata di mano. A Bassano le prime biciclette comparvero nelle vetrine di Saggiotto e Zaramella, dove era possibile averle anche a noleggio.

Nel giro di pochi anni la bicicletta divenne il più comune mezzo di locomozione degli italiani. Se ciò avvenne fu grazie all’iniziativa di pionieri come il commerciante e artigiano bassanese Pietro Dal Molin. Egli stesso era affascinato dalle biciclette e dalla rapidità con cui si stavano affermando fra le consuetudini di vita popolari. Mentre i giornali esaltavano le gesta sportive dei primi baffuti pedalatori in Inghilterra, Francia e Italia, Dal Molin decise di gettarsi in quest’avventura e di diventarne uno degli artefici aprendo una piccola officina per la costruzione di biciclette. Acquisì un marchio inglese semisconosciuto, Wilier, e stabilì la sua prima, modesta officina a San Fortunato, lungo la sponda sinistra del fiume Brenta, che a quel tempo era attraversato solamente dal secolare ponte vecchio, successivamente ribattezzato dal sentimento popolare “ponte degli alpini”. Il Ponte della Vittoria, o ponte nuovo, allora non c’era ancora. La fabbrica di biciclette Wilier nacque proprio qui, a due passi dal fiume, a ridosso dell’osteria Alla Colomba dove molti bassanesi trascorrevano le loro sere d’estate giocando a bocce e godendo il refrigerio della brezza della Valsugana. Pietro Dal Molin si fece presto apprezzare per la scrupolosa fattura dei suoi prodotti. A Bassano possedere una Wilier divenne un vanto, le richieste iniziarono ad arrivare anche da più lontano e il modesto laboratorio fu ampliato e strutturato. La possibilità di produrre in serie, con un impianto a carattere industriale, consentì di contenere i costi delle biciclette e questo ne favorì a sua volta la progressiva diffusione.

cap_1_stabilimLo stabilimento della Ciclomeccanica Dal Molin, proprietaria del marchio Wilier, idealizzato sullo sfondo di Bassano del Grappa in una cartolina datata 1946.

Allo scoppio della prima guerra mondiale la Wilier di Bassano era una fabbrica ben avviata, con una produzione in costante crescita e ottime prospettive di espansione. Su tutte le cime che incoronano l’orizzonte a nord, dal Pasubio al Grappa, infuriavano le battaglie e Bassano divenne un crocevia militare a pochi chilometri dal fronte. La produzione di biciclette nello stabilimento di San Fortunato rallentò ma non si interruppe. Anzi, in qualche modo il marchio di Dal Molin uscì rinvigorito dal conflitto, grazie soprattutto alla fama che si guadagnarono i bersaglieri italiani, molti dei quali avevano in dotazione le biciclette prodotte dalla casa bassanese. La fine della Grande Guerra coincise con il passaggio di consegne alla guida dell’azienda: Pietro Dal Molin, il fondatore della Wilier, cedette la direzione al figlio Mario. L’altro figlio Angelo seguì una strada parallela aprendo un negozio di cicli e di ricambi a Bassano, nella centrale via Roma. Come spesso accade quando le aziende dei padri passano nelle mani dei figli, l’avvicendamento portò alcune sostanziali novità, pur nel segno della continuità con quanto era stato fatto nel decennio precedente. La fabbrica prese il nome di Ciclomeccanica Dal Molin e fu sottoposta ad un processo di diversificazione: oltre alla costruzione di biciclette furono aperti nuovi reparti destinati alla cromatura e alla nichelatura. Seguirono anni di prosperità. La bicicletta divenne il mezzo per spostarsi più diffuso fra gli italiani, mentre le gesta di Girardengo, Binda e Guerra accendevano l’entusiasmo e la fantasia della gente. Nel 1940, quando l’Italia entrò come forza belligerante nel secondo conflitto mondiale, la Ciclomeccanica Dal Molin, che aveva ricevuto nuove commesse belliche, contava addirittura un centinaio di dipendenti. Nell’aprile del 1945, quando ormai l’Italia era definitivamente in mano agli alleati, lo stabilimento della Ciclomeccanica Dal Molin fu seriamente danneggiato da un bombardamento ma la fine delle ostilità era vicina e l’industria bassanese era pronta a ripartire riconvertendo interamente la sua produzione alla bicicletta. Nei suoi reparti si svolgevano tutte le fasi della lavorazione, dalla saldatura dei tubi in acciaio dei telai alla verniciatura, sino al montaggio di tutti i componenti.

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In un’Italia finalmente libera ma sfiancata dalla guerra, il ciclismo acquistava una dimensione di mito, grazie soprattutto alle cronache mirabolanti che i giornali e la radio diffondevano dei leggendari duelli fra Bartali e Coppi. Di pari passo si affermava la sponsorizzazione, che si affiancava e talvolta soppiantava nelle maglie dei corridori le tradizionali denominazioni toponimiche o di ispirazione classica. Legnano, Atala e Bianchi avevano già seguito questa strada e nell’immediato dopoguerra Mario Dal Molin decise di fare lo stesso. Il passo più immediato fu iniziare una collaborazione con il glorioso Veloce Club Bassano, società fondata nel lontano 1892, che si faceva onore in Italia con una portentosa squadra di dilettanti. Ma Dal Molin pensava in grande. L’idea di entrare a testa alta nel ciclismo dei grandi maturò nell’inverno del 1945 e coincise con l’anelito di italianità della città di Trieste, aspramente contesa dalle forze partigiane titine, che risvegliò in tutti gli italiani un’ondata di acceso patriottismo. Nel 1946 nel panorama del ciclismo professionistico italiano si affacciò una nuova squadra, aveva la maglia rossa e portava ad emblema l’alabarda di San Giusto. Praticamente una bandiera. La Ciclomeccanica Dal Molin creò una nuova bicicletta sportiva, la chiamò Wilier Triestina. Il suo colore, subito brevettato, aveva l’inconfondibile riflesso ramato che per decenni sarebbe diventato il tratto distintivo dell’azienda. Dal Molin e i suoi fidi consiglieri del Veloce Club Bassano avevano abbracciato in tutto e per tutto la causa di Trieste e chi se non il più forte ciclista triestino in circolazione poteva diventare il simbolo di questa loro avventura? Giordano Cottur aveva già ammaliato gli sportivi bassanesi vincendo per due anni di fila, nel ’35 e nel ’36, la più ardua delle corse in salita per dilettanti, da Bassano alla vetta del Monte Grappa, dove nel ’34 primeggiò Gino Bartali. Il capitano della Wilier Triestina divenne lui, affiancato dai conterranei De Santi, Feruglio e Degano e dai veneti Bevilacqua, Piccolroaz, Menon e Brotto. Se la maglia era dedicata a Trieste, i pantaloncini da corsa riportavano l’indicazione originaria dell’azienda: “Dal Molin – Bassano del Grappa”. Anche per la direzione tecnica ci si avvalse di una risorsa locale: sull’ammiraglia della neonata compagine venne chiamato Giovanni Zandonà, che in quegli anni fu sindaco del Comune di Loria, un paese a dieci chilometri da Bassano del Grappa, e che vantava brillanti trascorsi agonistici nel ciclismo, anche come componente della nazionale. Intanto il nome della Wilier si identificava a tal punto con la spinta nazionalistica sollevata dalla questione triestina che qualcuno iniziò a intravedere in quel nome dal suono esotico un audace acronimo patriottico: W Italia LIbera E Redenta.

cap1_det1Lavori di ricostruzione nel fabbricato della “Ciclomeccanica Dal Molin” dopo i bombardamenti subiti nel 1945
cap1_atletiMario Dal Molin attorniato dagli atleti della neonata formazione rosso-alabardata e dai dipendenti dell’azienda.
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30 aprile 2013