Bagliori di sole

“Superleggero, tubazione in acciaio ad alta resistenza, cambio Campagnolo, selle corsa in pelle, telaio con trattamento galvanico brevetto Wilier filettato”.
Il catalogo, in quattro lingue, elencava, nell’immediato dopoguerra, le caratteristiche salienti delle bici costruite ai piedi del Grappa. Il modello “speciale corsa – tipo Giro d’Italia” era il top, identico a quello sul quale s’affannavano Magni, Cottur, Martini, Bevilacqua, Maggini e tutti i corridori della squadra bassanese. La rèclame riportava con evidenza “bici interamente ramata”. Caratteristica unica, irripetibile, che balzava subito agli occhi. La ramatura prese spessore prova dopo prova, nel reparto di verniciatura a capo del quale c’era Bruno Villari, classe 1908, che la guerra aveva tenuto per molti anni lontano da casa. Un colpo di genio, solleticato dalla volontà di creare qualcosa di diverso per una squadra che aveva sposato convinta le ragioni di Trieste italiana. I tentativi furono molteplici, degni di un laboratorio alchimistico di medievale memoria. Bruno Villari, che con i colori aveva talento, s’incaponì. Per la Wilier non voleva le solite, abusate, tinte, ma qualcosa di diverso, di particolare, che colpisse e rimanesse impresso nella memoria della gente. Mescolò decine di colori, mise e tolse diluente, nitro e acquaragia per trovare una vernice che assomigliasse al rosso della maglia. Reputò troppo banale caricare carminio con tracce di nero. Stava per rassegnarsi ad uno smalto industriale quando ebbe l’intuizione che cambiò radicalmente le bici Wilier, rendendole simili a gioielli. L’idea gli venne osservando il procedimento galvanico originato dal passaggio della corrente elettrica nella vasca contenente il bagno elettrolitico. Anodo, catodo, ioni, sali minerali e depositi infinitesimali sulle superfici da trattare. Chimica, elettrochimica e meccanica. Dopo esperimenti e tentativi – arrivò al punto di portare a casa, dopo il lavoro, pezzi di tubo zincati per continuare gli esperimenti nel forno… della cucina economica – Villari intuì le potenzialità dell’elettrolisi e riuscì a ramare completamente un telaio.

A Bassano si lavora: l’eco dei successi della squadra guidata da Zandonà fa aumentare le vendite. L’Italia si sposta a pedali.

Quando lo vide, Dal Molin stentò a credere ai propri occhi. Ordinò immediatamente al direttore dello stabilimento, Battistello, che fosse completato con il montaggio di tutti gli accessori: sella Brooks, manubrio, pedali, cambio, freni, catena Regina extra, cerchi, tubolari. La bici fu esposta nel corridoio d’ingresso della fabbrica, di fronte all’ufficio del gran capo. Fu subito processione con impiegati, magazzinieri, operai, clienti e fornitori in adorazione di fronte a quel gioiello che rimandava bagliori di sole. Bruno Villari, però, non era del tutto soddisfatto. Qualcosa lo rodeva dentro, un tarlo fastidioso. “Le cupole di rame dei campanili di montagna, quelli fatti a cipolla – rimuginava tra sé e sé ricordando i paesetti che aveva attraversato con la divisa addosso – nel giro di poche settimane dopo essere stati sostituiti, perdono l’originale lucentezza e diventano verdi a causa dell’ossidazione”. Ciò che presagiva, puntualmente, accadde. Col passare dei giorni la bicicletta divenne opaca e la ramatura perse la sua brillantezza. Cominciarono a comparire le prime macchioline. L’ossidazione proseguì inesorabile e il passo dal colore del sole al verde fu breve. Cosa fare? Villari non si perse d’animo. Ritornò in laboratorio e si rimise all’opera. “L’aria – si disse, pur non conoscendo le leggi della chimica – è la causa dell’ossidazione. Se riesco a impedire che venga a contatto diretto con la ramatura, il gioco è fatto”. Corse al Bottegon e s’informò su tutte le vernici trasparenti disponibili. Chiese lumi a Bortolo Guazzo, formatosi nella prestigiosa Carrozzeria Fontana, specializzata nella creazione di “abiti” di gran

lusso per automobili di grossa cilindrata. La ricerca finì quando trovò una vernice fissante trasparente. Stesa sopra la ramatura, appena terminato il processo elettrolitico, creava una pellicola impermeabile che impediva all’aria di aggredire il rame, assicurando per sempre l’originario splendore. Per rendere le bici ancora più belle ed esclusive, Villari pensò di arricchirle con una serie di filettature dorate che ne ripercorressero il telaio. Una sorta di pizzo per nobilitare il velocipede, come negli esclusivi vestiti di alta sartoria. Come farle? A dargli valido sostegno, nel reparto di verniciatura, c’era Remo Sessi, apprendista attento e volenteroso, che non si tirava mai indietro quando c’era da lavorare oltre l’orario consueto. Abitava in borgo Angarano, appena al di là del ponte. Villari lo chiamò, conoscendone l’abilità e la mano ferma e precisa: “Te la sentiresti di tracciare i filetti dorati?” Remo lo guardò serio. Fissò il telaio ramato, ci pensò un attimo.

 

Gli scappò un “sì” convinto. Prese il più sottile dei pennelli, eliminò le setole che ritenne superflue. Ne lasciò solo cinque, molto lunghe, le intinse nella boccetta dello smalto dorato. Asciugò il colore in eccesso e partì. Col pollice mantenne la giusta distanza tra setole e telaio. La mano corse sicura e veloce lungo tutto il piantone. Andata e ritorno. Una linea perfetta, senza sbaffi, tanto da sembrare tracciata con il righello. Completò l’opera sugli altri due tubi e sulle forcelle con risultato eccellente. Riuscì a raccordare i filetti tra di loro con una sorta di arabesco. Da quel giorno Remo Sessi divenne il filettatore ufficiale della Wilier Triestina. La sua opera non si limitò alle specialissime da corsa ma fu richiesta pure per i modelli “superlusso” uomo, donna e sport ramati, grigi e neri a seconda degli ordini che giungevano copiosi in via Colomba. L’abilità di Remo Sessi non passò inosservata. Era giunto al punto di realizzare da solo i pennelli ultrasottili, dei quali era molto geloso, scegliendo e legando tra loro quattro, al massimo cinque, setole di maiale che recuperava a casa di un amico, a capo di un lungo bastoncino. Le sue linee risultavano sempre perfette, diritte, senza incertezze o sbavature. La fama del filettatore bassanese crebbe. Remo Sessi fu avvicinato da emissari di altre case. Anche la Bianchi s’interessò a lui e provò ad assicurarsi la sua preziosa collaborazione. Quando il lavoro cominciò a scarseggiare e la crisi a farsi sentire in riva al Brenta, Remo Sessi si congedò. A 25 anni si trasferì a Milano. Trovò impiego alla Innocenti con la qualifica di caporeparto della verniciatura. Il suo ex capo, Bruno Villari, invece, continuò a sfoggiare il suo estro talentuoso alla Faacme, una delle prime aziende a realizzare mobiletti metallici verniciati a forno sulla falsariga delle “cucine americane”.

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28 maggio 2013