La maglia rosso amaranto diventa rosa

Lungo le rampe del Pordoi c’erano migliaia di persone. Avevano raggiunto i tornanti dolomitici con tutti i mezzi disponibili: corriere, moto, qualche auto, biciclette, a piedi dopo faticosa sgambata.Sgranati da una curva all’altra attendevano pazienti l’arrivo dei corridori. Un serpentone nereggiante tra bivacchi improvvisati e ripari di fortuna. I fiaschi di vino
viaggiavano di mano in mano. Un bicchiere per ingannare l’attesa. Il tempo non passava mai e i bottiglioni si vuotavano a rapide sorsate. Il giorno precedente, nella Auronzo-Cortina di appena 90 chilometri, Fausto Coppi aveva messo tutti in riga, con un’azione delle sue.
Nonostante la brevità della tappa inflisse distacchi pesantissimi: 3’ 32” a Bartali che regolò in volata Cottur, Pasotti, Brignole, Biagioni, Cresci, Volpi, Magni e Cecchi. Quest’ultimo difese la maglia rosa che aveva sfilato a Magni il giorno prima, alla fine della Udine-Auronzo di 125 chilometri. Vincenzo Russello vinse la frazione giungendo solitario sotto lo striscione posto in riva al lago.
Ronconi e Cecchi conclusero la corsa a 2’ 17”, sufficienti al toscano della Cimatti per vestire l’insegna del primato. Bartali, quarto a 3’ 04”, precedette sotto lo striscione Coppi, Martini, Ortelli, Volpi, Menon e Bof. Fiorenzo Magni vestì
in rosa un solo giorno, al termine della Bologna-Udine di 278 chilometri. Un Giro strano quello del 1948, contestato da Coppi perché non c’erano tappe a cronometro, con poche salite, iniziato sotto il segno di Giordano Cottur.
Il triestino della Wilier partì subito fortissimo, aggiudicandosi la classica frazione d’apertura, quella che da Milano portava a Torino, 190 chilometri piatti, o quasi, che il rosso alabardato coprì in 4 ore 51’ 45”.

Roma/Perugia. un passaggio a livello chiuso

Roma/Perugia: il gruppo insegue Baito e Ricci.

Val di Fiemme porta a Trento. Magni attardato sul Pordoi recupera furiosamente quando la pendenza s’inverte. Giù a scapicollo, come solo lui sa fare, e la macchina sempre dietro, a portata di bici. Uno, due, tre, quattro, cinque minuti messi insieme da una curva all’altra, volando sui tornanti, osando dove gli altri tirano i freni per non seguire la via della tangente. Sfiora tutti i paracarri, sventa le buche e i sassi più grossi, riprende chi lo precedeva, fa girare all’indietro le lancette dell’orologio, disegna la strada mentre la bici ramata, colpita dal sole, manda lampi dorati.

Fiorenzo Magni

l Occhio di falco, ali d’aquila, coraggio da vendere. Questo è Fiorenzo Magni, il leader della Wilier, il “cipressino”, come bonariamente lo chiamavano i suoi compaesani di Vaiano all’inizio della carriera agonistica, per via della magrezza. Nella città del Concilio e del capo del governo, Coppi giunge in solitudine. La frazione alpina è sua: ha coperto 160 chilometri in 4 ore e 38’. Ortelli, secondo, chiude a 2’ 31” precedendo il trenino formato da Pasotti, Cottur, Cresci e Magni. Bartali è settimo, a 7’ 20”. A Fausto Coppi la storia delle spinte, amplificata dalle voci di tanti che non hanno visto ma hanno sentito, non va giù. Sperava di infliggere distacchi pesanti agli avversari, di riaprire la corsa, di prendere la maglia rosa. A Trento il dopo tappa è travagliato. Alcune squadre sporgono reclamo alla giuria, come se i loro corridori avessero sdegnosamente rifiutato gli aiuti in salita. Ma il fatto che la Wilier avesse piazzato subito dietro il campionissimo Magni, Cottur, Cresci e Martini, dà fastidio. Il rosso amaranto delle maglie alabardate ha “stinto” l’azzurro della divisa Bianchi. Vincenzo Torriani, giovane direttore di corsa, riunisce giudici e commissari. La sentenza scatena feroci polemiche: due minuti di penalizzazione a Magni. Troppi per i dirigenti della Wilier Triestina, una miseria per quelli della Bianchi. Fausto Coppi, messo sotto dal massaggiatore belga Driessen che da qualche tempo lo segue fra polemiche e maligni ammiccamenti, chiede ed ottiene dal suo direttore sportivo Tragella di far ritirare tutta la squadra. Decisione affrettata, che gli alienerà simpatie.

A beneficiarne sarà soprattutto Bartali, l’irriducibile omino di ferro, che non si ferma davanti a nulla. Coppi a casa anzitempo con tutti i suoi angeli custodi. Il comm. Zambrini, che non vedeva l’ora di sbarazzarsi dell’ingombrante personaggio, licenzia Driessen. Magni è in maglia rosa, con un vantaggio di dodici secondi su Cecchi, nonostante i due minuti rubatigli a tavolino. Alla conclusione del Giro mancano due frazioni, un inferno per Magni. La folla è inferocita perché il campionissimo non è più sulla scena e s’accanisce contro il capitano della squadra bassanese, lanciandogli non solo accuse e improperi lungo le strade che portano i superstiti prima a Brescia (vittoria di Elio Bertocchi, in volata davanti ai compagni di fuga Salimbeni, Vincenzo Rossello, Ausenda e Bof) e poi a Milano. Fiorenzo Magni non ci sta ad essere triturato dalla gente, consapevole di quanta fatica gli è costata la maglia che indossa con orgoglio. La tappa di Milano si conclude al Vigorelli, lo stesso anello che due anni prima lo aveva consacrato recordman mondiale sui 50 e sui 100 chilometri, gremito di tifosi e appassionati di ciclismo. L’ultimo sigillo è suo. Il pratese s’impone nello sprint finale scaricando sui pedali tutta la rabbia accumulata nei due giorni precedenti. Sul traguardo precede Logli, Toccaceli, Bartali, Menon e Ricci. Un’autentica zampata da leone, per ribadire le proprie ragioni e smorzare i fischi che assordano il velodromo. E’ il primo successo al Giro d’Italia. Magni ne vincerà altri due, nel 1951 e nel 1955, con le maglie della Ganna e della Nivea Fuchs. Per la Wilier Triestina è l’anno più bello. Nei primi dieci della classifica finale piazza ben quattro portacolori: Cottur terzo a 2 ‘37”, Giulio Bresci settimo a 9’ 17” ed Alfredo Martini, grande amico del toscano, decimo a 18’ 22”. Dodici secondi sono stati sufficienti a Fiorenzo Magni per assicurarsi la prestigiosa corsa a tappe davanti a Cecchi. “Spinte, quel giorno ne prendemmo tutti – commentò il vincitore riandando alla Cortina-Trento – ma io il distacco che avevo su Coppi lo recuperai quasi tutto in discesa, dove sfido chiunque a spingere i corridori. Sul Pordoi ero staccatissimo. Il Giro lo vinsi nella planata verso Trento, prendendo rischi enormi”.

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4 giugno 2013