Pinella mi segò la catena

Giovanni Zandonà lo avvicinò al circuito di Castelfranco. “Stiamo preparando una grande squadra per il prossimo anno. Tu sei giovane e vai forte. Ti piacerebbe correre per noi?”. Luciano non ci pensò due volte. Apprezzava Zandonà non solo perché era un ottimo direttore sportivo e un ex corridore di belle speranze, ma anche perché aveva avviato una fiorente attività nel campo delle macchine agricole, essendo diventato concessionario della Stayer. Alfredo e Fiorenzo gli avevano parlato benissimo della Wilier Triestina. La firma sul contratto di due anni fu presto vergata. Con lui avrebbe indossato la gloriosa maglia anche il fratello Sergio, buon passista veloce, di cinque anni più vecchio.
Cominciò così l’avventura di Luciano Maggini, toscano classe ‘25, autentico mattatore tra i dilettanti, con la formazione bassanese. L’impatto fu subito positivo e Dal Molin, che lo ricevette assieme all’ing. Tonon nella fabbrica di via Colomba, lo accolse con un caloroso abbraccio. Durante l’inverno si allenò scrupolosamente e una mattina, assieme a Martini, Bresci e al fratello, salì in sella alla periferia di Firenze per smontare, dopo trecento chilometri, a Bassano, dove Zandonà, ormai alla fine della carriera di diesse, aveva organizzato un raduno collegiale. Conobbe così i nuovi compagni e poté allacciare con tutti rapporti amichevoli.
Magni e Giordano Cottur, le due punte di diamante della Wilier, contavano molto sull’esile toscano che aveva una pedalata morbida ed uno sprint bruciante. Riposero in lui molta fiducia e non rimasero delusi. Maggini sopperiva con la testa là dove le gambe non arrivavano e colse successi prestigiosi”.

Vinse per la prima volta il Giro del Veneto, involandosi sul Pian delle Fugazze e buttandosi a capofitto verso la pianura prima di alzarsi sui pedali in vista dell’ultima asperità rappresentata dalla durissima salita del Lapio. Il suo modo di correre, rotondo ed elegante, lo portò dritto in nazionale. Quell’anno, il 1948, la corsa iridata si sarebbe disputata sul circuito olandese di Valkenburg e le previsioni erano equamente divise tra Bartali e Coppi. La vigilia fu carica di tensione. “Il commissario tecnico Lugari aveva selezionato otto corridori: tra questi avrebbe scelto le due riserve. Oltre ai due campioni c’eravamo io, Martini, Ricci, Ortelli, Pasquini e Magni. Coppi avrebbe voluto che corressi al suo fianco. Invece due giorni prima della gara Lugari mi chiamò in disparte, dopo un sopralluogo sul circuito, e mi disse che avrei dovuto mettermi al servizio di Bartali. Magni e Martini furono relegati al ruolo di riserve. Mi adeguai.” Alla vigilia si respirava un’aria pesante. Coppi e Bartali, quell’anno, non si sopportavano e in gara la rivalità esplose clamorosamente. Fecero corsa l’uno sull’altro, controllandosi a vicenda, con una marcatura strettissima, infischiandosene degli avversari. In quelle condizioni era impossibile che uno dei due potesse vincere il titolo mondiale. “Al via mi presentai carico e fiducioso e guadagnai la prima fila. Come lo starter abbassò la bandierina, diedi due pedalate vigorose. Alla terza la catena della mia Wilier si spezzò. Mi trovai appiedato mentre il gruppo s’allontanava. Fui costretto a cambiare mezzo e soffrii le pene dell’inferno perché la bici che Cimurri mi passò non era adatta alle mie caratteristiche. Masticai amaro, ma non mollai. Mentre Coppi e Bartali, che non smisero un attimo di guatarsi in cagnesco, si ritiravano, scatenando la stampa mondiale, mi riportai nelle posizioni di testa. Eravamo ormai in prossimità del traguardo quando, lentamente, la gomma anteriore cominciò ad afflosciarsi.

Impossibile cambiare il palmer. Smoccolai come un turco e passai sotto lo striscione con la gomma forata: quarto assoluto a 6’40”. Il titolo lo vinse Alberic Schotte, che batté in volata il francese Lazaridès.”
La sera, in albergo, mentre la rabbia non era ancora sbollita, Luciano Maggini controllò la catena che lo aveva piantato in asso di punto in bianco e s’accorse che era stata segata. Chi l’aveva sabotata? L’interrogativo rimase senza risposta. “Venticinque anni dopo mi chiama Bartali. A Roma c’è un raduno di vecchie glorie. Vieni anche tu – mi dice – ri- troveremo tanti amici. Ci andai. Quando la cena stava per finire, andai vicino a Gino e sottovoce gli chiesi: “Ormai sono passate decine di anni, ma io ho sempre un tarlo dentro che vorrei eliminare: sai chi è stato, a Valkenburg, a tagliare la catena della mia bici?” Mi guardò con occhi spalancati e increduli, come se stessi a prenderlo in giro. Quando capì che non ero mai venuto a capo dell’arcano, sillabò lentamente il nome: Pinella “pinza d’oro”, il meccanico di Coppi”. Oddio – feci – ma sei sicuro sicuro? Sì, mi rispose.
Giuro, non capii il perché di quel gesto, dettato probabilmente dal fatto che Lugari mi aveva posto accanto a Gino anziché a Fausto. Con la burrasca che c’era tra i due anche il meccanico cercò di limitare, in qualche modo, Bartali danneggiandomi.

Sono sicuro che Fausto non sapeva nulla di quel che fece Pinella. Mi voleva un gran bene e ogni tanto mi aiutava a vincere… A proposito, una volta fu lui a chiedermi di lasciarlo sprintare in testa.
Eravamo a Genova, in una riunione su pista. In tribuna c’era Bruna Ciampolini, da poco diventata sua moglie, e Fausto voleva fare bella figura. ‘Quindicimila lire per te se mi lasci la vit- toria’ mi propose. Accettai, anche perché a quei tempi quindici bigliettoni rappresentavano una bella cifra, ma feci di tutto per rendergli il successo difficile. Ten- ni duro e alla fine la spuntò d’un soffio, ma non per- ché io mollai. Terminata la premiazione, al momento di saldare il debito, me lo disse: brutta canaglia, volevi fregarmi, eh? E io a spergiurare che non era vero…”. “All’epoca riuscire a precedere Coppi e Bartali era un’impresa. A me riuscì più di una volta e ogni volta che mettevo la mia ruota davanti a tutti provavo una gioia immensa. Sono stato fortunato a correre assieme ai più grandi campioni del ciclismo: da loro ho imparato moltissimo. Anche alla Wilier ho avuto come compagni atleti stupendi: Magni, Cottur, Martini e quel simpaticone di Carollo che trovammo a sorpresa a Palermo,
alla partenza del Giro del 1949.Quante ne fece per arrivare ultimo e conquistare la maglia nera!”

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11 giugno 2013