Il dramma di Coppi

 

Era il primo giugno del 1950 quando il Giro passò per Bassano, la città della Wilier Triestina. I corridori s’erano messi in marcia da un’ora. La partenza era stata data a Vicenza e l’arrivo era previsto a Bolzano. Un tappone dolomitico da mettere i brividi. I passi Rolle, Pordoi e Gardena, da scalare uno dietro l’altro, come giudici implacabili, pronti a misurare le forze degli atleti. Al comando della classifica c’era uno svizzero di 24 anni, dai modi gentili, Hugo Koblet.
Un tipo fin troppo aristocratico per il gruppo. Di buona famiglia, educato e rispettoso, vive a Zurigo. Ha fatto l’argentiere prima di inforcare la bici per lavoro. In uno dei tasconi della maglietta tutte le mattine, prima di lasciare l’albergo, ripone un pettinino protetto dalla custodia in pelle. Un vezzo, un tocco lezioso, una civetteria. Appena tagliato il traguardo, con l’acqua rimasta nella borraccia è solito ripulirsi il viso: via la polvere e le tracce di sudore, poi una passata tra i folti capelli con quell’oggettino d’osso, tra le risatine dei compagni di fatica. Nessuno è disposto a scommettere una lira sulla sua tenuta. ”Coppi, Bartali e Magni possono andarlo a prendere quando vogliono” sostengono. Ma lo svizzerotto è di pasta forte. Non è uno che cede facilmente. Se ne accorgeranno gli sparasentenze! A Vicenza ha vinto, complici una doppia foratura di Ginettaccio ed una caduta di Fausto, dopo essersi involato sul Pian delle Fugazze. La maglia rosa è sua, ma ci sono le Dolomiti con mille trabocchetti. “A Bolzano non sarà più sulle sue spalle” insistono i soliti sapientoni. Il gruppo pedala tranquillo nella prima ora.
A Bassano è una festa indescrivibile. Le maglie rossoalabardate della Wilier Triestina sono in prima fila. Le altre squadre lasciano fare, sicure di ricevere lo stesso trattamento quando si transiterà dalle loro parti. Non è ancora il momento di aprire le ostilità. I campioni si guatano. Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Attenti a chi li cela dietro a lenti scure. Potrebbero nascondere crisi in arrivo. Fausto è al centro del plotone, attorniato dai fidi scudieri che non lo perdono mai di vista. Passato il bivio del Ca’ Sette la statale 47 entra nella Valsugana. La strada attraversa decine di paesetti, giocando a rimpiattino col Brenta. Pove, Solagna, S. Nazario, Carpanè, San Marino, Cismon. S’invola Guido De Santi, in cerca di un po’ di gloria. Il suo vantaggio aumenta tra il disinteresse generale. E’ triestino come Giordano Cottur, compagno di allenamenti sulle aspre stradine del Carso. Coppi cade alle porte di Primolano. La ruota scivola, il manubrio gli sfugge di mano: si ritrova a terra. Volo senza conseguenze. Risale lesto in sella, non perde secondi preziosi. La corsa è ancora piatta, i fuochi si accenderanno più tardi, sui tornanti che da S. Martino portano al Rolle, sotto l’ombra imponente del Cimon de la Pala.

Come manciate di coriandoli lungo le vie di Bassano.

Ecco le scalette di Primolano, un antipasto di salita, quattro rampe secche, con le curve in pavé. De Santi ha messo tra sé e gli inseguitori quasi un quarto d’ora. Il plotone si sgrana. Coppi cade per la seconda volta, forse urtato inavvertitamente da Armando Peverelli che avrebbe deviato bruscamente dalla sua traiettoria per lasciar passare un’auto.
Un ostacolo improvviso, impossibile da evitare, non c’è tempo di reagire. Coppi piomba sull’asfalto pesantemente. Sviene. La prima ammiraglia a fermarsi è quella della Wilier Triestina, guidata da Bepi Baggio, ritornato al volante appena imboccata la Valsugana. Cottur scende e si mette le mani nei capelli. Arriva Giuseppe Ambrosini, il direttore di corsa. I corridori della Bianchi sono attorno all’airone ferito, lo circondano premurosamente in attesa dell’ambulanza della Croce Bianca con il dottor Campi. Coppi riprende i sensi e vorrebbe risalire in bici. Lo sollevano, provano a rimetterlo in sella, ma non riesce a starci. Il dolore all’anca è violento, da togliere il respiro. Campi intuisce.
La frattura è più grave del previsto. L’ambulanza lo porta in mezz’ora all’ospedale di Trento. Le radiografie sono impietose: triplice frattura del bacino. Addio Giro.
La fuga di De Santi s’esaurisce sulle secche rampe del Pordoi. Ripreso il triestino, Gino parte all’attacco, con rabbia, quasi volesse ristabilire le gerarchie adesso che il campionissimo non c’è più. Le gambe vanno su e giù come pistoni e i pedali sono costretti a sopportare incredibili sollecitazioni. L’azione continua, Bolzano è vicina. Gino va che è una meraviglia ma Koblet lo francobolla. La vittoria è del toscanaccio, lo svizzero tiene la rosa saldamente sulle spalle. Coppi è triste all’ospedale.
E’ l’Anno Santo, l’anno del Giubileo. Pio XII riceve i corridori a Roma, dove la corsa finisce. Hugo Koblet è il nuovo astro nascente. La maglia rosa finale è ancora sua. Bartali s’assicura il secondo gradino del podio, davanti ad Alfredo Martini con un ritardo di 8’41”. Solo sesto Fiorenzo Magni che a fine stagione lascerà la Wilier Triestina, dopo averle regalato il Giro del ‘48. La squadra bassanese, partita con Magni, Bevilacqua, Feruglio, Grosso, Selvati- co, Molinari e Ausenda conclude la fatica con tre vittorie. Due tappe (Livorno- Genova di 216 Km e Ferrara-Rimini di 144 Km) se le aggiudica Toni Bevilacqua; la terza, Aquila-Campobasso di 203 Km porta la firma di Fiorenzo Magni.
Dei sette partiti agli ordini di Giordano Cottur, salito sull’ammiraglia come direttore sportivo dopo una lunghissima carriera costellata di importanti successi, quattro tagliano il traguardo: Magni (6°), Bevilacqua (29°) a un’ora 19’54”, Egidio Feruglio (61°) a 3 ore 01’ 08” e Adolfo Grosso (63°) a tre ore 5’58”.

Ritorno a Bassano. A dx Bepi, meccanico e autista.

Il giro d’Italia in cifre:

partiti in 105, arrivati in 75. Maglia nera a Mario Gestri. Distanza complessiva 3981 Km; media 33,816 Km orari.
Classifica scalatori: 1° Hugo Koblet, 2° Gino Bartali, 3° Vittorio Rossello.
Miglior squadra: Frejus capitanata da Koblet.

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9 luglio 2013