Cantando sotto le stelle

 

La guerra era finita da cinque anni. Lentamente le ferite si stavano rimarginando. I bombardieri alleati avevano lasciato macerie e croci. Dal Nord al Sud il paese era tutto da ricostruire. Le strade, in condizioni pietose, erano percorse da mezzi sgangherati: Balilla e 1100, qualche Alfa Romeo, pochissime Lancia. Il raro asfalto era disseminato di enormi buche che mettevano a dura prova balestre e copertoni. L’anno prima il Giro era scattato da Palermo. Gli organizzatori avevano previsto il trasferimento dei corridori via mare, con partenza da Genova sulla Saturnia, scalo a Napoli e poi dopo dodici ore di sosta, rotta verso il capoluogo siciliano con il traghetto Città di Tunisi. La proposta non convinse molto i ciclisti, paralizzati dall’atavica paura di una notte tra le onde. Coppi, Bartali e Koblet decisero di giungere a Palermo in treno. Altri li imitarono. Le macchine delle Case e la carovana pubblicitaria dovettero sobbarcarsi l’interminabile trasferta scavalcando gli Appennini e superando asperità di ogni genere. Arrivare in Sicilia si rivelò un’impresa pari a quella compiuta da Garibaldi novant’ anni prima. Erano passati dodici mesi e di nuovo la Sicilia attendeva i corridori, non per il Giro d’Italia, ma per quello dell’isola.

Cottur, chiusa l’attività agonistica era sceso dalla bici per salire sull’ ammiraglia con i gradi di direttore sportivo al posto di Giovanni Zandonà. Bepi era al volante ormai da dodici ore. Assieme al triestino e a Simeoni aveva lasciato Bassano di primo mattino. Albeggiava appena quando la 1100 balestra lunga uscì stracarica di bici e ricambi dal portone della Wilier di via Colomba. Non un cane per le strade tanto che s’udiva distintamente il brontolare del Brenta ingrossato dalle recenti piogge. Un’ora dopo erano a Padova, novanta minuti più tardi toccarono Bologna. Li attendeva la Porrettana, una strada capace di ubriacare anche il più incallito dei bevitori. Il motore, revisionato nell’ officina Gomiero di piazzale Cadorna, di fronte al Tempio Ossario, rombava intonato. Le marce, complice la doppietta, ingranavano morbide senza grattare mentre la strada saliva. Sul culmine, prima di buttarsi verso la Toscana, si concessero una breve sosta per far respirare la 1100. Altre due ore abbondanti li dividevano da Firenze, un banco di prova per i tamburi dei freni che di lì a qualche giorno sarebbero stati sollecitati oltre ogni attesa dalle discese dolomitiche. I tre consumarono un frettoloso pranzo dalle parti di

 

Arezzo, sfiorarono Orvieto abbarbicata sulla rupe di tufo, attraversarono Orte. Roma li sorprese a metà pomeriggio. Davanti avevano ancora centinaia di chilometri: la meta era S. Giovanni, sullo stretto di Messina, dove avrebbero traghettato.
La fatica esplose sotto Napoli. Bepi non ce la faceva più a tenere gli occhi aperti. Cottur, abituato a leggere il volto degli avversari per coglierne momenti di debolezza e cedimenti, capì che l’autista era al limite. “Bepi, fermiamoci un po’ ” propose, ma il guidatore, testardo, non colse l’invito. Due ore dopo fu Bepi, stremato, a chiedere la sosta. Erano scese le ombre della sera e rapida avanzava la notte. Cercarono un locale ancora aperto. Un’osteria, modesta ma pulita, senza avventori, sembrava li stesse aspettando. Si fermarono. “Bepi, cosa prendi?” chiese premuroso Cottur. “Un litro di caffè, mi aiuterà a rimanere sveglio” rispose l’amico sbadigliando. Mentre l’oste appoggiava le tazze sul bancone, il triestino allontanò con una scusa l’amico:
“Vai a controllare se la mia portiera è chiusa”. L’autista uscì e Cottur ne approfittò.
Due cucchiaini di zucchero, una vigorosa mescolata e, già che c’era, anche un sorso di grappa, poi giù. Bepi gustò il caffè corretto, ap- prezzandone il forte aroma e il sapore di vinaccia. Quando la tazza era ormai vuota sentì qualcosa battere contro i denti. Guardò il fondo, notò due macchioline rosa in via di scioglimento e capì al volo: “Giordano, fiol de na bona dona, mi hai fregato…”
In capo ad un quarto d’ora, la mano destra sul volante, il braccio sinistro appoggiato al finestrino della 100, rispondeva al canto dei grilli, fischiettando rumorosamente. L’effetto della simpamina che Cottur versò di nascosto nella tazzina del caffè, durò tutta la notte.
Raggiungere S. Giovanni sotto un cielo di stelle fu una passeggiata.

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16 luglio 2013