Un cuore d’oro

Mentre lenti, i rintocchi del transitus si rincorrevano nel cielo di piombo, l’elegante signore dai candidi capelli s’avvicinò alla bara. Con mano leggera sfiorò il legno e i fiori. Per un attimo gli occhi s’inumidirono dietro le lenti scure degli occhiali. L’amico di tante battaglie, il compagno al quale portò acqua, suggerì tattiche ed attacchi, diede spinte generose lungo salite massacranti, aveva chiuso i conti con la vita. Non aveva voluto mancare all’ultimo appuntamento col suo capitano e s’era sciroppato oltre 400 chilometri d’autostrada. Quattro ore abbondanti di macchina, attraverso la generosa Emilia, il laborioso Veneto e la nobile Venezia Giulia. Pensieri e ricordi s’intrecciarono lungo il viaggio e rivide, come in un film, momenti che segnarono profondamente la sua gioventù, plasmandolo come atleta e come uomo. Giordano se n’era andato e lui era lì, a testimoniargli affetto e stima, intatti dopo più di sessant’anni. Scesi dalla bici, Cottur s’era ritirato ai margini dell’ambiente, seguendo ragazzi alle prime pedalate ai quali trasmettere esperienza. Lui, invece, era rimasto sul palcoscenico recitando la parte principale, portando i suoi pupilli a vincere sei titoli mondiali e a conquistare decine di medaglie di metallo pregiato. Alfredo Martini lasciò la chiesa che odorava d’incenso. Fissò le nuvole, respirò forte l’aria pregna di salsedine. Il carro, con le corone di fiori, si mosse piano. Un colpo di tosse lo distolse dai pensieri più tristi. La gente, intorno, lo scrutava rispettosa. Gli toccò rispondere al saluto di centinaia di persone e lo fece con la sua abituale bonomia, l’intercalare fiorentino, scandendo bene le parole. Giordano, intanto, s’allontanava per sempre. Non cedette alla commozione, anche se il cuore andava a mille. Risalì in auto, pronto a rifare i 400 chilometri che lo separavano da casa, consapevole che aveva fatto la cosa più giusta. Trieste, Barcola, Monfalcone. Sullo sfondo l’immenso ossario di Redipuglia con i suoi gradoni. Ecco il casello di S. Giorgio di Nogaro, e poi quelli di S. Donà, Noventa, Quarto d’Altino. Il passante di Mestre, Venezia avvolta nell’ultima nebbia. Padova, Rovigo, Ferrara, Bologna. L’auto fila veloce. C’è l’Appennino annunciato dalla basilica di S. Luca; Sasso Marconi, Pian del Voglio, Mugello e finalmente Firenze. Mezzo Giro d’Italia e ricordi a vagonate. Alfredo Martini è sempre elegante, compìto, attento. Uomo di rara intelligenza, come sapeva esserlo in corsa, quando leggeva ed interpretava le gare come pochi. Stretto nella morsa tra Coppi, Bartali e Magni, che riconosceva superiori, sapeva infilarsi sotto i riflettori proprio per la sua tenacia e la capacità di stringere i denti, soffrire, e non mollare mai. Il tempo ha segnato il volto, ma lo spirito è sempre quello. Dove non arrivavano gambe e muscoli, arrivava il cervello. E’ stato un corridore importante della Wilier Triestina, nel 1948 e nel 1949, chiamato da Zandonà a vestire la gloriosa maglia assieme agli altri terribili toscanacci, Magni ed i fratelli Maggini, coi quali s’allenava quotidianamente dividendo chilometri e fatiche sovrumane. All’inizio della stagione partivano da Firenze in bicicletta, valicavano la montagna ostile e si tuffavano nella pianura per arrivare a Bassano dove ad attenderli c’era Giordano Cottur. I primi ritiri collegiali, ai piedi del Grappa, servivano per migliorare l’intesa e unire l’amicizia, che non s’incrinò mai, neanche a distanza di decenni. Martini non s’incensa mai, mantiene un profilo volutamente basso, da uomo saggio qual è. “Sono stato un corridore di medio valore – si definisce – non molto vincente. Però riuscivo ad inserirmi nei primi posti anche in corse difficili e lunghe 300 chilometri, dove dominavano i due fuoriclasse Bartali e Coppi.” Straordinario rimane il terzo posto nella mitica Cuneo-Pinerolo: 10 giugno del 1949. Alla partenza c’è Leoni in maglia rosa. Coppi è ad un soffio, 43”. Gino, terzo, è staccato 10’11”, Cottur è quinto a 15’02”, Martini è nono a 20’26”. Nuvoloni bassi e neri lasciano presagire acqua e freddo, fatica e dolori. Coppi scatta subito e si beve, uno di seguito all’altro, il Colle di Vars, il colle dell’Izoard, il colle del Monginevro. Gino, l’uomo di ferro, non riesce a stare alla sua ruota. Il vantaggio del campionissimo cresce a vista d’occhio. Una tappa leggendaria, entrata di diritto nella storia del ciclismo. Coppi percorre i 254 chilometri che separano Cuneo da Pinerolo in 9 ore 19’55”. Bartali, alle sue spalle, accusa un ritardo di 11’52”. Martini precede sulla linea del traguardo Giordano Cottur di un niente, 19’ e 14” dopo il vincitore. La classifica è rivoluzionata. Coppi veste la maglia rosa, Bartali, secondo, è a 23’20”. Terzo è Leoni a 25’54”, quarto Cottur a 37’33”, Martini, sesto, a 42’27”. Alla fine della corsa mancano solo due tappe. Nella Pinerolo-Torino del giorno dopo, una cronometro di 65 chilometri, s’impone Bevilacqua. Strana gara, la cronometro.

Alfredo Martini

Gli ultimi scattano per primi, i primi per ultimi. Sante Carolo, fiero della maglia nera e forte di un vantaggio di due ore su Malabrocca, può pedalare tranquillo, sognare di essere il primo anziché l’ultimo della classe. Gli applausi del pubblico generoso lo accompagnano dall’inizio alla fine. Roba da brividi. Nella Torino-Milano il primo è Corrieri. Cottur scavalca Leoni in classifica e sale sul gradino più basso del podio. Alfredo Martini conserva un ricordo speciale di quella Cuneo-Pinerolo, che lo consacrò tra i campioni. “Un corridore di medio valore – come a torto continua a considerarsi – subito a ridosso dei grandi”. “Negli anni Quaranta – svela – feci molta strada assieme a Gino. Lo ricordo lungo le rampe dell’Abetone e sul Barilozzo. Pedalava con una potenza straordinaria. Sono convinto che senza lo stop a causa della guerra, Gino avrebbe vinto cinque tour. Era davvero un uomo di ferro; aveva una resistenza fantastica. Mi allenavo spesso con lui. Per prepararci alla Milano-Sanremo pedalavamo anche per 250 chilometri filati. Si partiva da casa sua e si andava fino ad Arezzo, passando per Monte S. Savino. Al ritorno, a Siena, mi mettevo alla sua ruota perché non ce la facevo più. Per lui i chilometri erano sempre pochi. Per me, che non avevo la classe e la resistenza di Gino, rimanevano indigesti. Ci fermavamo solo per riempire le borracce. In sella dalla mattina alla sera, la fame placata mordendo panini. Era molto scrupoloso e fino ai 30 anni tutte le sere andava a letto puntuale alle 9. Poi cominciò anche a fumare e a tirare mezzanotte, ma lui, con quel fisico, poteva permetterselo”. Corridore completo, Alfredo Martini ha conquistato una decina di vittorie e molti piazzamenti. Nel 1950, lasciata la Wilier e passato alla Taurea, ha vestito per un giorno la maglia rosa. Quell’anno ottenne il miglior risultato nella corsa rosa: terzo assoluto. Ha chiuso la carriera al fianco di Fiorenzo Magni, nella Nivea Fuchs, il capitano che aveva servito con dedizione e fedeltà anche alla Wilier Triestina.

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17 settembre 2013