Rinasce il marchio dell’alabarda

Sin da bambini i fratelli Lino e Antonio Gastaldello avevano sentito parlare della Wilier Triestina, ne avevano respirato il mito e sentivano l’orgoglio di appartenere alla terra in cui aveva prosperato. Abitavano a Rossano Veneto, meno di dieci chilometri da Bassano. Il loro padre, Giovanni, aveva lavorato per anni come operaio alle dipendenze di Dal Molin e in casa Gastaldello ognuno sapeva dove mettere le mani quando c’era da accomodare una bicicletta. Dopo 17 anni di completo inutilizzo, nel 1969 lo stabile di via Colomba fu rilevato dai fratelli Giacetti di Bassano e da Giovanni Longon, un rappresentante di biciclette veneziano. L’immobile conteneva ancora numerosi macchinari e materiali per la costruzione di biciclette, ma anche di macchine per caffè e bruciatori, i desolati residui degli ultimi tentativi di riportare a regime la fabbrica. Longon propose a Lino e Antonio Gastaldello di acquistare il marchio. Loro avevano le mani in pasta, ci sapevano fare e avevano entusiasmo da vendere. Il prezzo, un milione di lire. Non si trattava solo di comprare un’attività, ma di impugnare una sfida, una scommessa difficile e impervia, quella di riportare in auge un marchio caduto nella polvere dopo avere brillato come una stella del firmamento.
Dovevano far rivivere una leggenda e sarebbero serviti tanto sudore e tutto il loro coraggio. I Gastaldello accettarono, la nuova era della Wilier Triestina era iniziata. Fu venduto tutto il materiale che non serviva a costruire biciclette e la produzione fu spostata in via Stazione a Rossano, dove i Gastaldello vivevano e già lavoravano. I primi telai, tutti in acciaio, erano verniciati con tinte varie per assecondare le tendenze prevalenti del mercato, poi fu presa le decisione di ripristinare l’originario tono ramato. Furono assunti alcuni dipendenti, ma nessun agente si occupava di piazzare ordinativi. Si vendeva solo in alta Italia, soprattutto nel Triveneto, in primo luogo Trieste.

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15 ottobre 2013