Bevilacqua: “Oggi vinco io”

 

Quando si metteva in testa al gruppo per tirare non ce n’era per nessuno. Le sue trenate erano micidiali. Sgranava il gruppo, sciame disordinato, costringendolo, lingua penzoloni, in fila indiana. Con lui davanti non c’era neanche il tempo di buttar giù un panino. Imbattibile sul passo, il veneziano marciava con potenza rara, uso alla fatica e al grosso rapporto. Le gambe, ossute, tornite e tirate a lucido dall’olio canforato, erano come stantuffi. La velocità era il pane quotidiano e quando le tappe erano lisce come tavoli di biliardo lui era sempre davanti, lesto ad approfittarne. Partiva lungo, accelerando progressivamente, togliendosi tutti di torno, raggiungendo velocità da pista. Non per niente nella prova ad inseguimento erano pochi quelli che riuscivano a tenere il suo ritmo: Coppi, Van Steenbergen e qualche altro campione. Toni Bevilacqua, quell’anno – era il 1950 – si preparò scrupolosamente per la Milano-Vicenza, una gara in linea valida per l’assegnazione della maglia tricolore. Toni sentiva di essere all’apice della forma. Gli ultimi allenamenti gli avevano confermato che la gamba era quella giusta. Alla vigilia avvicinò Tullio Campagnolo, l’ex ciclista di belle speranze che una volta sceso di sella s’ingegnò a creare brevetti. Con fare scanzonato e occhio furbo buttò lì la frase che a lungo aveva rimuginato dentro di sé, cercando di essere il più sincero possibile: “Se mi dà 50 mila lire, faccio montare il suo cambio sulla mia Wilier e vinco la corsa”. All’epoca le biciclette ramate erano equipaggiate con il cambio Simplex, importato dalla Francia, i cui primi esemplari, presentati nel 1938, promettevano meraviglie.

La fatica segna i volti di Cottur e Bevilacqua,
ma il sorriso svela che non è stata vana.

Genova 16 giugno 1946
Bevilacqua vincitore della seconda tappa
del giro d’Italia festeggiato dopo l’arrivo.


La levetta, fissata sul piantone, comandava il meccanismo e consentiva al manovratore di passare dal primo al terzo pignone della ruota libera senza smettere di pedalare. Una pacchia per gli atleti i quali, a seconda della difficoltà del tracciato, potevano scegliere il rapporto più adatto alla strada. Bevilacqua era pignolo. Prima del via controllava puntigliosamente il mezzo meccanico e col pollice tastava la pressione dei tubolari, Clement o Gardiol a seconda delle prove. Voleva le gomme gonfiate al massimo, prossime a scoppiare, e s’arrabbiava se il telaio presentava un granello di polvere. “Allora, signor Tullio – incalzò Bevilacqua, tradendo la “erre veneziana”, perché il gioviale Campagnolo non gli aveva ancora risposto – ci sta? Cinquantamila e monto il suo cambio: vittoria garantita”. Il costruttore vicentino, sorrise: “Non ti sembra di esagerare con la richiesta? Come fai ad essere così sicuro di vincere la Milano-Vicenza con tutti gli avversari che hai?” Toni capì che la sua proposta non aveva fatto breccia nel portafogli del vicentino. “Appuntamento a Vicenza” commentò bellicoso. Campagnolo alzò le spalle. Il giorno dopo Bevilacqua si alzò prima del solito e coi muscoli già caldi scese nella sala da pranzo, dove lo attendevano Cottur e Bepi meccanico. Si sedette a tavola concedendosi tutto quello che era stato preparato: riso al burro, filetto al sangue, contorno di patate e due fette di crostata.

Non rinunciò ad un corposo bicchere di vino rosso. Avvicinò il meccanico, strizzandogli l’occhio: ”Oggi vinco io” gli sussurrò con la consapevolezza di poter disporre a suo piacimento la gara. I primi chilometri furono percorsi a ritmo blando. Con tutto quello che aveva mandato giù, la digestione era lunga e laboriosa. Passate Bergamo e Brescia, i corridori cominciarono a mulinare sulle pedivelle con maggior lena. Bevilacqua era nel ventre del plotone e teneva sotto controllo la testadella corsa. A Verona si fece vedere con una fucilata delle sue. La gamba rispondeva a meraviglia, l’occhio sveglio, la fatica lontana. Ripassò mentalmente gli ultimi chilometri della gara, rivide il rettilineo d’arrivo. Decise come e quando sarebbe partito. Giunto ormai alle porte di Vicenza, il gruppo accelerò bruscamente. I velocisti rimontarono posizioni, sgomitando per assicurarsi la prima fila. Bevilacqua li lasciò fare. Sotto lo striscione dell’ultimo chilometro partì sparato, come un proiettile di cannone, la velocità sempre più alta. Nessuno resistette alla sua micidiale progressione. Mantenne la parola: tagliò per primo il traguardo a braccia levate. Oltre lo striscione incrociò lo sguardo di Tullio, ammutolito. Indossò orgoglioso la maglia tricolore. L’indomani i giornali titolarono: “Bevilacqua trionfa nel G.P. Campagnolo con il favoloso cambio Simplex”. Bepi conservò a lungo la pagina della Gazzetta.

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20 agosto 2013