posted: 05/04/13 at 09:30 am

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #9 | NUMERI UNO

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
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“Io dopo tanto tempo continuo a essere convinto solo di una cosa. StelvioLo sport è un’attività meravigliosa, l’importante è praticarlo sempre. Poi si arriva dove si arriva, si vince o si perde. Ma sono dettagli”. Parola di Campione, con la C maiuscola. Gustav Thoeni, 62 anni, da Trafoi, comune di Stelvio. Inferno e paradiso per ogni ciclista-sognatore che si rispetti. Gustav con gli sci ai piedi ha vinto quattro Coppe del mondo (1971, 1972, 1973 e 1975, con il secondo posto nel 1974), un Oro e un Argento olimpico, quattro titoli Mondiali, 24 vittorie in gare di Coppa del mondo e, a quanto pare, non è ancora stanco di fare sport. “Sciare, fuori, all’aperto tra le mie montagne. Quelle sono le emozioni”. E quando non scia cammina per i boschi della Val Venosta o sui pendii dell’Ortles, facendo da guida, silenziosa come è lui, di qualche turista ospite dell’Hotel di famiglia, il Bella Vista di Trafoi.

Io non sono un campione, né posso ambire a diventarlo. Ma uno sportivo vero, nel senso più profondo del termine, dello sport come ne parla Thoeni, credo di sì. Da mezzo secolo, da quando ho cominciato con la prima corsetta a intuire che lo sport è davvero “un’attività meravigliosa”, che fa star bene, non ho più smesso. Andrea Zorzi, indimenticabile Zorro dalle schiacciate micidiali, terrore di tutte le difese della pallavolo mondiale, ora che passati i quaranta si sta rienventando un futuro nel giornalismo sportivo, dice che le persone fanno sport perché non trovano più altrove, un senso. Secondo lui lo sport ha un potere salvifico, potere che un tempo avevano le religioni o le ideologie, i grandi ideali. Potere salvifico di – che ne so – un santo, un uomo carismatico, un leader o, per i più aperti alle scienze della mente, uno psicanalista. Non so se ha ragione Zorro. In ogni caso fare sport, qualunque sport e a qualsiasi livello, dalla passeggiata con il cane di 40 minuti alla scalata in solitaria sulla Nord dell’Eiger, dal ping pong con un amico all’attraversamento dello stretto di Messina a nuoto come ha fatto Grillo, fa sentire bene e fa star bene. Purché non si esageri. Mi ha dato molta tristezza nei giorni scorsi leggere tra le notizie di cronaca una retata della polizia in Toscana tra palestre e gruppi cislistici amatoriali alla ricerca dell’”elisir della vittoria assicurata”, l’aiutino, il segreto inconfessabile per battere il compagno di pedale della domenica: Epo, ormoni della crescita, chimica adattata alle prestazioni.  SportdopingjpgPazzi. Incoscienti. Che mettono a rischio la propria salute e il futuro di chi ha la sventura di viverci accanto. Questa gente, quelli che a 50 anni quando fai una granfondo di ciclismo o una maratona, partono a tutta come se dovessero vincere l’Oro olimpico non hanno davvero capito molto dello sport. Altro che de Coubertin. Sono persone che amano se stessi più dello sport. E così come mostrano un vestito griffato o un’auto fuoriserie più bella di quella dell’amico, si comportano con lo stesso atteggiamento infantile nello sport: devo dimostrare che valgo più di te, che sono più forte, che somiglio a quel determinato campione…

C’è una distanza siderale tra il mio modo di approcciare lo sport e questa mentalità corrente, consumistica. Non è una questione di prestazioni, in assoluto, ma di prestazioni e di imprese legate alla propria persona. La definizione più bella dello sport per me l’ha data Eros, un amico dei pedali, 52 anni, ex calciatore, ora con 4 stealth al cuore, mentre salivamo con le bici su una salita micidiale delle Prealpi, nel Varesotto: “Mi piace fare sport, mi piace far fatica in bici perché riesco ad ascoltare il mio corpo, ogni mia cellula mi parla. Quando pedalo sono in contatto profondo con il mio fisico, attento ai segnali che mi manda”. E’ una consapevolezza lucida quella di Eros, che aiuta, nella mente e nell’anima, a capire o a ricordare il valore delle cose, il valore di un traguardo conquistato, qualsiasi esso sia, da una salita a un bel voto a scuola. Il valore della vita e degli altri, in definitiva.

Per questo mi ritrovo molto nell’idea romantica del campione alla Gustav Thoeni, nei suoi silenzi che parlano.Per questo non mi sento mai a disagio a parlare con campioni dello sport, è inevitabile provare ammirazione per le loro imprese, ma inferiore no. Perché nessuno è inferiore all’altro. Ognuno dà una sua risposta, personalissima, al suo gesto atletico . Ed è lì il bello. C’è una frase molto bella di Eleanore Roosvelt, la moglie del presidente americano che ha vinto la guerra mondiale su Hitler da una sedia a rotelle. Una frase che vi butto lì, come memo: “No one can make you feel inferior without your consent”… Fa più o meno così:  “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”… E allora avanti, continuiamo a pedalare, nella vita e in bici, a testa alta, godendo del vento, di tutti gli odori e i colori che verranno.

Vi racconto un episodio di non sport di qualche anno fa quando mi è capitato di dover intervistare Stefano Baldini, l’Oro olimpico alla maratona di Atene.  Dopo una serie di contatti telefonici, stabilimmo di verderci a Modena, nella palestra vicino ai giardinetti comunali, prima periferia cittadina, dove si allenava quando faceva brutto tempo. Il suo allenatore Luciano Gigliotti, teneva il cronometro in alto con la mano e prendeva il tempo facendolo partire e fermandolo a ogni scatto. Ripetute da 80 metri che si interrompevano fragorosamente su una parete dove era poggiato un materasso da salto in alto, materasso sul quale Stefano si buttava per frenare. BaldiniUn fenomeno, lui maratoneta faceva gli 80 metri in serie da 10 a 12-13 secondi, uno dietro l’altro. Gli dissi della mia passione per la corsa. All’epoca di maratone ne avevo concluse una decina. Potremmo fare che corriamo assieme per un’oretta e io scrivo un articolo-intervista su di te con questo titolo: “Ho corso un’ora con Baldini e vi racconto com’è”… L’idea non mi sembrava male.  Lui mi guardò e chiese: “A quanto corri?” Nel senso, voleva dire, quanto ci metti a fare un chilometro? “Beh, se mi impegno posso farcela in 4.30-5.00 minuti a km”. E lui, sprezzante: “Quando faccio riscaldamento vado più veloce. Rischio di farmi male”. Facemmo l’intervista seduti su una panca della palestra di Modena. L’articolo uscì su Laureus, in itlaiano e in inglese. Ma non fu uno dei miei migliori pezzi. Forse perché l’indisponenza del Campione, finì per condizionarmi nella stesura di quelle parole scritte una dietro l’altra. Come se l’eroe di Atene si fosse materializzato in una persona poco interessante, molto meno della sua immagine illuminata e gioiosa in mondovisione alla conclusione dei giochi di Olimpia. Una persona un po’ boriosa e piena di sé come un collega d’ufficio qualsiasi. Uno che non aveva molto da dirmi insomma. Diverso, radicalmente diverso da un altro incontro, questa volta casuale, con un campionissimo indimenticabile del pedale: Francesco Moser.

Questa la scena. Giro d’Italia 2011, tappa sulle pendici Monte Rosa con arrivo a Macugnaga. Con i miei amici Flavio e Massimo abbiamo deciso di farci l’ultima salita e di arrivare in cima prima dell’arrivo della tappa. Parto un po’ prima di loro perché mi sto preparando per il mezzo Ironman di Pescara, così faccio un po’ di km nella valle prima della salita.  MoserMentre – come succede ai ciclisti – sto facendo la pipì dietro a un cespuglio intravedo una sagoma conosciuta passare sulla strada da solo. Non capisco bene. Mi sembra familiare il suo viso … sembra quasi ‘Cecco Moser, ma il corpo è un po’ più tozzo di quello che ricordo del Giro vissuto per una manciata di secondi su Fignon, il professore, o dei tempi del record dell’ora. Riprendo la mia bici e mi metto a pedalare di lena per raggiungerlo. Mi giro, lo guardo. “Nooo: ma sei davvero tu, Moser”. Lui mi sorride e cominciamo a pedalare insieme. Mi racconta che è lì, sponsorizzato da una banca, per portare su in cima i clienti della stessa. Si sta scaldando. Facciamo assieme una 20ina di km. Parlando del più e del meno. Del Trentino, della sua esperienza da assessore, del paese che va male, gli albergatori che rischiano di chiudere sulle Dolomiti, di Berlusca e della Lega. Avanziamo a coppia, uno accanto all’altro. Ha una bici in carbonio, ovviamente marchiata Moser, ma senza orologio o computer. Va d’istinto. Seguendo il vento. Il mio Garmin mi dice che stiamo andando a 30-32 all’ora. Neanche male. Gli racconto di me, del mio lavoro al Sole 24 Ore, della mia idea di fare l’Ironman (“sei matto!” e vi giuro sentire detta da Moser una frase del genere mi ha riempito di orgoglio e di motivazione per continuare nelle mie imprese pazze). Continuiamo così pedalando per un’ora, allegramente, fino alla piazza dove c’è il raduno dei bancari ciclisti. Francesco si congeda firmandomi il caschetto (che da allora conservo come una reliquia) e mi invita a Palù di Giovo, per festeggiare pedalando i suoi 60 anni.

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