posted: 23/04/13 at 09:00 am

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #15 | LA MIA OETZI (SPRINT) MARATHON

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
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DSCF5278In una gara c’è sempre uno che arriva primo e uno che arriva ultimo. Alla Oetzi marathon, domenica scorsa, sono arrivato ultimo. Ultimo. Ma sento di aver vinto anche io la mia gara perché sono arrivato in fondo. E ho battuto i miei fantasmi che dieci e dieci volte durante i punti più difficili mi invitavano a mollare, a ritirarmi, a lasciar perdere, come hanno fatto alcuni. E’ stata un’edizione un po’ particolare quella di quest’anno per il triathlon estremo delle Alpi. Più breve, ma più veloce. Complice il maltempo, la decima edizione della Oetzi Alpin Marathon, che doveva svolgersi sabato mattina, è stata rimandata al giorno dopo, con un percorso rivisto per ragioni di sicurezza.

La Val Senales, dopo un assaggio di primavera a inizio della settimana, è ripiombata nell’inverno con temporali, piogge intense, temporali, tuoni e fulmini la notte prima della gara. Piogge insistenti durate 48 ore, senza tregua, e soprattutto neve in quota. In vetta, su al ghiacciaio alto, dove di solito arriva la gara, nella notte tra venerdì e sabato sono caduti 80 centimetri di neve fresca. Rischio valanghe elevato, recitava il bollettino. DSCF5250Non si poteva salire su con gli sci. Troppo pericoloso. Un sms ha avvisato alle 5 di mattina tutti gli atleti. Gli organizzatori hanno rimandato la gara al giorno dopo e hanno ripiegato su un percorso alternativo. Il piano B, hanno spiegato più tardi, “lo abbiamo sempre avuto ma non siamo mai stati costretti a usarlo. Quest’anno sì, per la prima volta”. Il piano B prevede l’ascesa con gli sci d’alpinismo lungo la pista di slittino del Maso Corto, riparata dal rischio valanghe dai boschi, più o meno 3mila metri di salita con 4-500 metri di dislivello, contro i mille e passa del tracciato originario. Piano B, dunque. Ma non è stata l’unica sorpresa di quest’anno. Ce n’è stata un’altra che abbiamo scoperto solo all’indomani, pochi minuti prima della partenza, quando gli organizzatori ci hanno detto che la pioggia aveva causato frane nella strada-mulattiera che sale da Nanturno verso Madonna di Senales, non si passerà più da lì.Madonna di Senales, un classico bellissimo villaggio alpino, è il punto dove finisce la prima frazione della gara in mountain bike, dopo 26 km e salite salite salite, e comincia il trail running di 11 chilometri, la seconda parte della gara, lungo i sentieri che girano attorno al Lago ghiacciato di Venago fino su su in alto al Maso Corto, all’inizio della funivia, dove comincia la terza parte della DSCF5253maratona alpina con gli sci e le pelli. Ancora in salita. Ebbene, rischio frane lungo la mulattiera: scopriamo che con la mbk si arriverà a Madonna di Senales percorrendo un percorso tutto su asfalto, lungo la larga strada provinciale. Il dislivello forse è un tantino inferiore. Ma la strada attraversa quattro cinque tunnel, e sale comunque. Il tratto in bici, in questo modo, si è accorciato di una decina di chilometri. Ma – questo l’ho scoperto dopo ahimè – pur essendo più corto, il tratto in bici è diventato più veloce perché più facile tecnicamente. La Oetzi Alpin Marathon 2013 così è diventata una specie di Triathlon sprint corso sulle Alpi (!) Il percorso invece dei 42,2 km canonici della maratona si è ristretto a una 30na di chilometri (guardate in fondo al post i dati del mio Garmin se volete sapere tutto il dettaglio). Rispetto a tutte le gare fatte finora (ironman, maratone varie, granfondo di nuoto o di bici) la Oetzi è stata tra le più dure di tutte perché è diventata velocissima proprio per il fondo stradale ben asfaltato.

Dei 260 iscritti alla prova individuale, alla fine siamo partiti in meno di 200. Siamo arrivati in 182. Io, pettorale numero 245 sa caratteri grandi color rosso, con scritto sotto Riccardo, sono quello lì, il 182esimo.

Vi racconto, provo a farlo, come è andata, almeno per me. Il giorno dopo, a parte il mal di gambe da acido lattico, normale di solito dopo gare di questo genere, mi resta la sensazione di una gara unica, un triathlon estremo, davvero faticoso, ma bellissimo per lo scenario naturale, a tratti lunare, in cui si svolge. Eppoi mi resta il carattere di questi tostissimi altoatesini. L’organizzazione perfetta, tedesca. Ma anche la loro generosità (dietro la scorza di una naturale diffidenza verso gli italiani: eh sì che facciamo di tutto per meritarcela).

Fanno tutti sport da quelle parti. E hanno una tenacia invidiabile. Gente tosta e semplice. Con me alla Oetzi doveva esserci anche Carlo Brena, il mio amico giornalista con cui avevamo deciso di fare coppia nel Dynafit Press Team. Per l’occasione potevamo sfoggiare un’attrezzatura di tutto rispetto. Io la mia super Mbk da 29’ della Wilier, leggera e reattiva come un gatto sullo sterrato (un po’ meno sull’asfalto dove avrei preferito avere un’altra Wilier, da strada, di quelle che pesano meno di sette chili) e poi gli sci da corsa, gli scarponi peso piuma e l’abbigliamDSCF5243ento tecnico Dynafit, insomma il massimo che c’è per questo tipo di gare da pazzi in montagna. Poi però la gara bisogna farla, le gambe bisogna farle girare, a meno di non avere un motorino elettrico nascosto nella canna della bici come sembra abbia fatto qualcuno tempo fa in una classica del Nord. Lo stesso è per la corsa in montagna, dove si corre in piano, su sterrato, su sentieri che poi diventano scoscesi, vanno giù giù ripidi e poi – indovinate un po’ – risalgono in quota con degli strappi da camoscio… Strappi dove i primi atleti passano correndo come se niente fosse, come se fosse una finale dei 400 metri su pista (non so come facciano) e dove noi comuni mortali non riusciamo neanche a corricchiare piano, e camminiamo, seppur velocemente.

Carlo, con la gara rimandata alla domenica, ha dovuto dare forfait, perché sua figlia l’indomani doveva fare la cresima. Uno di quegli appuntamenti a cui un padre non può proprio mancare, anche se ha schiumato sangue e saltato N pause pranzo per preparare una gara estrema come questa. Con lui al fianco forse sarebbe stato più facile arrivare in fondo. La fatica condivisa, così come il dolore, si sente meno. E’ strano come siamo fatti. Ma è così. Bene, vada come vada. Sono solo alla partenza, ma sereno. Leggero. DSCF5242Un altro ostacolo, alla mia “prestazione atletica” si chiamano Alessandro e Giovanni, due amici di Icarus, cameramen il primo e tecnico audio e assistente il secondo, che sono qui per me (per me? Ma siete sicuri?) per raccontare in un video doc di 8 minuti in prima persona, da atleta, seppur della domenica, una delle gare regine del triathlon estremo. Raccontare in prima persona e non come un giornalista sportivo qualsiasi che arriva all’arrivo con l’ammiraglia, la pancia piena, e poi sale sul palco premiazioni un po’ annoiato per vedere la mise della miss di turno e che faccia fa il campione dietro al suo sorriso, le smorfie della sua fatica nascoste in un ruga, in una espressione del viso…

Alessandro mi inquadra con la telecamera prima della partenza. Devo guardare dentro l’obiettivo. Giovanni mi punta il microfono. E devo raccontare la gara, com’è e come non è. Ho poco tempo per coccolarmi le mie sensazioni di “energia positiva” pre-gara. E per vincere la paura di non farcela che sempre, alla partenza, assale più o meno tutti. Ok Alessandro parlo: …ebbene  “Cari amici di Icarus, tra 5 minuti parte la Oetzi marathon. Quest’anno in versione ridotta, con un tracciato più breve, perché era troppo pericoloso salire in cima al ghiacciaio.  La scorsa notte sono caduti 80 cm di neve. Ottanta cm di neve il 21 aprile. Sono pronto (non è vero!, giuro). Ci vediamo all’arrivo”.

Il cameramen mi istruisce su quello che dovrò fare durante il percorso, oltre alla già faticosa prospettiva di riuscire ad arrivare pedalando, correndo e sciando. Senza – speriamo – bucare una gomma. Senza – speriamo – incontri troppo ravvicinati con qualche biker scatenato che parte troppo in fretta. Senza cadere invischiato in qualche colpo di coda del gruppo. Insomma tutte quelle piccoli-grandi cose che bisogna tenere a mente e ripassare una dietro l’altra per sperare di arrivare in fondo a una gara estrema. Ripasso mentalmente tutto. Ma non basta. L’operatore mi mette in mano un telecamera portatile che filma in alta definizione, grande come un pacchetto di sigarette o poco più. Mi spiega come farla funzionare: “Premi qui, eppoi quando si accende il led rosso e vedi il simbolo della videocamera, premi quest’altro bottone. Cerca di inquadrarti e racconta quello che stai facendo, come va, non fa niente se hai il fiatone. Io ti seguirò in moto. Ogni tanto ti aspetterò durante il percorso per intervistarti”. Sai che bellezza farsi intervistare mentre stai morendo sotto le pedalate, mentre vai a tutta e ti sembra di stramazzare al suolo dalla fatica. Voglio andare a casa…: “Signoree e signoriiii, lo spettacolo sta per cominciare”.

Per i primi tre chilometri  devo indossare un’imbracatura che tiene ferma la camera davanti al mio petto. Dovrò filmare tutta la partenza, le persone che sono davanti. Partiamo ordinati, in perfetto stile altoatesino. Piove, ma nessuno sembra curarsi molto di questo. Ci hanno consigliato di coprirci e di prevedere dei cambi con roba asciutta durante il percorso perché temono di ritrovarsi tanti pinguini all’arrivo. Nonostante la pioggia che batte e batte DSCF5288non fa particolarmente freddo. Certo si parte a 500 metri di altitudine e si arriva a quasi 3mila. Anch’io mi sono coperto ma con le prime pedalate comincio a sentire caldo. Lo sapevo ma ho preferito esagerare nella prudenza. E’ meglio sentire caldo e sudare un po’ di più, piuttosto che avere freddo. Lo scorso anno ricordo bene la sensazione che ho avuto con il body da triathlon all’Olimpico del Lago d’Iseo sotto la pioggia per tutta la gara con meno di 10 gradi. E ai ristori c’era solo roba liquida. Niente di caldo. Niente da mangiare. Un incubo. Anche lì arrivai in fondo e alla fine uscì pure il sole… Non è più tempo di pensare perché è cominciata la salita e questi altoatesini vanno a tutta come se fosse una cronoscalata del Giro d’Italia. Io vado su in agilità tenendo il mio passo, al solito, senza forzare troppo ma il cuore sale a 165-170 battiti in un attimo e non voglio rischiare. Così faccio salire un altro rapporto e continuo agile senza incurante del fatto che mi sfilo dalla cima del gruppo. Restiamo in fila indiana e metro dopo metro con la salita la fila si allarga. Il primo tunnel è quello più tosto, sembra non finire mai, ed è tutto all’insù… Rivedo il percorso che ho fatto ieri in auto e ricordo più o meno tutti i passaggi, il ristorante sulla destra, la fermata del bus… C’è ancora un po’ di strada prima di arrivare a Madonna di Senales. Ma quanto vanno forte questi qui? Sto davvero soffrendo, Ogni pedalata, ogni respiro è una conquista. La moto con Alessandro mi affianca. Mi chiede di fermarmi per “intervistarmi”. Lo faccio. Metto i piedi per terra. E gli atleti continuano a salire e a sfilarmi davanti.  Ale mi chiede di raccontare le mie sensazioni dei primi chilometri. Le mie sensazioni? Ma chi me lo ha fatto fare a venire qui, gli dico e poi provo a raccontare qualcosa che non saprei riferire, forse preso dall’ebrezza della gara o dall’ossigeno che comincia a mancare in quota… Comunque qualcosa riesco a dire, spero in con un senso compiuti. Passato qualche minuto, finalmente Alessandro mi lascia riprendere la gara, non prima di lanciarmi un gancio: “Vuoi che ti riportiamo al punto dove eri?”. Un aiutino in moto? Neanche morto. Ho deciso di farle queste salite, dal primo metro all’ultimo, a mio modo, cercando in qualche antro nascosto dentro me la forza di farle, senza doping di nessun genere. Continuo a pedalare in agilità ma la bici sembra non avanzare. Provo a cambiare un rapporto più duro. Mi accorgo che il deragliatore Shimano Deore a questo punto non vuole saperne più di cambiare corona. Sarà la salita. Anche lui avrà poco ossigeno.  DSCF5261Quelli davanti a me non li vedo più. Sono in fondo alla corsa ed è dura andare avanti da soli senza riferimenti, senza attaccarsi a una ruota, qualcuno con cui scambiarsi qualche chiacchiera. Il cuore è sempre su 160-165, le pedalate sono 80-90 al minuto, giro agile, forse troppo, dovrei andare magari con un po’ più di potenza. Ma non so perché oggi non ce la faccio ad andare più di così. In fondo che cosa sono 20 km?. Niente rispetto ai carichi di allenamento fatti per arrivare fin qui. Eppur questa sensazione di stanchezza infinita, di spossatezza, mi accompagna lungo tutta la salita fino a Madonna di Senales. Non so se avete presente il nipote di Nonna Papera, quello che dormiva sempre e appena poteva si nascondeva nel fienile: ecco mi sento così.

Gli ultimi due km sembrano non passare mai. Forse sono partito troppo veloce trdito dai ritmi dei montagnin altoaltesini. Sarebbe stata meglio una strategia conservativa all’inizio per poi, gradualmente aumentare il passo. Non è andata così. Però finalmente intravedo il pratone dove ci sono le transenne e i posti assegnati alle bici per il cambio. Il mio è in cima, all’ultima fila, e non ce la faccio a correre come faccio di solito con la bici in mano. Oggi è così. Arrivo al punto cambio. C’è Claudia ad aspettarmi, mia moglie, mi incita, il cane Neve muove la coda e mi riconosce e Alessandro, telecamera alla mano e obiettivo aperto, continua a torturarmi con le sue inquadrature in primo piano e le sue domande a cui non so rispondere.  DSCF5263Sono cotto e mentre mi cambio farfuglio qualcosa. Mi tolgo le scarpe da ciclismo e i guanti perché ho caldo e mi spoglio togliendomi gli indumenti protettivi che avevo indossato per il timore del gelo. Con le mie poche forze residue faccio tutto cercando di restare lucido, ma devo anche rispondere al mio amico che sta facendo solo il suo lavoro (e lo fa bene). Una cosa è fare il giornalista raccontando gli eventi standone di fuori, guardando le cose da lontano, un’altra è raccontare lo stesso evento standoci dentro. E’ tutto un altro film. Dopo qualche lunghissimo minuto riesco a sbrogliarmi dal binomio cambio-telecamera e riparto di passo verso il sentiero che porta al bosco e al Lago ghiacciato. La prima parte è in salita, una salita ripida e non riesco proprio a correre, avvolto da una stanchezza antica. Approfitto del tratto a passo per provare a mandare giù qualcosa. Non riesco a mangiare tutta la barretta che avevo preparato, fa schifo senza bere. Sarebbe stato molto meglio un panino con la marmellata o con un po’ di prosciutto cotto. Getto la barretta e riprendo la corsa.

Durante la salita incontro diversi podisti-fantasmi. Uno di loro, più giovane di me, mi parla in tedesco. Gli rispondo in italiano. Lo fa anche lui. Si chiama Martin, ha un dannato crampo e non riesce a correre più. Vorrebbe fermarsi. DSCF5290“Dai andiamo avanti insieme”. Lui comincia a seguirmi, parliamo del più e del meno mentre corriamo e nei tratti più difficili andiamo di buon passo. Mi racconta che è di un paese qui vicino. Quest’anno ha fatto il Sellaronda con gli sci d’alpinismo e domani non vede l’ora di partire per un giro in moto in Costa Azzurra con tre suoi amici…. Ogni tanto accendo la telecamera e inquadro quello che ci passa attorno. Boschi. Alberi. Colori. Luce,. E’ uscito il sole dopo due giorni di piogge e di neve no stop. Incredibile. Dico qualcosa confusamente alla telecamera che mi punto in faccia e poi spengo. Andiamo avanti qualche chilometro e poi di nuovo riaccendo la telecamera e straparlo. Che fatica fare il film della gara, facendola davvero la gara.. Siamo arrivati al ponte della diga che apre il lago articiale di Vernago. C’è poca acqua e il lago è ghiacciato, di un colore che degrada tra il grigio e il blu-viola. I contorni di terra emersa sembrano un paesaggio lunare, con la crosta spezzata dal gelo.

Intravedo in fondo al ponte la sagoma con la giacca a vento rossa del mio amico-torturatore Alessandro, solita telecamera in mano. Gli passo vicno di corsa sorridendo e salutandolo. “Ehi”. Questa giornata, questi momenti e questi posti non li dimenticherò facilmente.. Continuo a correre in agilità, senza spingere al massimo, ma a un buon ritmo quando la salita lo permette. Martin mi segue, il crampo sembra passato. Va meglio anche per me rispetto all’ultimo tratto in mountain bike. Passato il lago e i suoi sentieri c’è ancora l’ultima salita da fare sull’asfalto. Vado in qualche modo, un po’ corro un po’ cammino. La telecamera l’ho restituita al suo proprietario: era troppo difficile correre, soffire e tenere in mano quel coso allo stesso tempo. Non fa niente se non riceverò il premio oscar per la migliore interpretazione. A questo punto penso solo all’arrivo.

Nell’ultimo tratto realizzo che sono davvero l’ultimo perché mi raggiunge Matteo, un podista-volontario delle guide alpine, che fa da servizio scopa. Gli racconto della mia strana gara tra telecamere, pedali e corse… E mi fa compagnia fino al Maso Corto. Finalmente, l’ultimo cambio. Lascio le scarpe e indosso gli scarponi. Avevo previsto di cambiare giacca, di indossare una giacca a vento per fare l’ultimo tratto seguendo i consigli degli organizztori. Ma non nevica,. Inaspettatamente è uscito il sole e sento quasi caldo. Resto vestito così come sono e proseguo. A fianco a me c’è Federico a farmi da angelo custode – ma pensate che fortuna essere ultimi – un giovane della guardia di finanza di Merano, che di lavoro salva la gente che resta sotto le valanghe, e viene dalle parti di Asiago e ama vivere in montagna.

Federico oggi ha l’incarico di chiudere la corsa nel tratto di sci alpinismo. Ed eccoci qua. Già che ci siamo saliamo insieme. Mentre cominciamo la salita dalla radiotrasmittente che lui ha in dotazione sentiamo che c’è un atleta belga che si è fatto male all’arrivo. Non si sa come è finito su una transenna e ha un trauma cranico. Sembra una cosa seria. Stanno venendo a prenderlo con l’elicottero. Qualcuno mi ha raccontato che lo scorso anno è morto un ragazzo di 22 anni durante questa gara. Mentre penso a queste cose continuo a salire con gli sci ai piedi. Certo non vado di corsa come fanno quelli che sono già arrivati. Salgo di buon ritmo, il mio solito, senza strafare. La mia vittoria è quando arriverò sotto il traguardo…

Il mio socio Martin che mi ha accompagnato per quasi tutto il tratto di corsa è partito dopo di me con gli sci ma lui è un montagnino vero e con gli sci ai piedi vola, mi ha passato di buona lena, sembrava non facesse fatica. Quando ha capito che ci giocavamo l’ultimo posto ha ingranato la quarta. Gli ho gridato: “Vai avanti, voglio essere io l’ultimo”. DSCF5316A questo punto preferisco davvero arrivare ultimo. Ho una giacca nera. Proprio come la Maglia nera, quella che nei Giri d’Italia si litigavano i gregari per portare a casa qualche secondo di notorietà e magari qualche soldo.  Non ho un allenamento specifico con gli sci d’alpinismo. Li ho provati una sola volta prima d’ora sul monte Pora. Ma tra le tre parti della gara di oggi questa è quella che mi è piaciuta di più. Sarà per la neve. Il silenzio di questi posti. Le vette che ci  circondano. Oetzi, l’uomo venuto dal ghiaccio che hanno trovato qui vicino. O tutte queste cose mese insieme… Incuranti della fatica continuiamo a parlare con Federico fino all’apice della pista. Manca poco. Tolgo le pelli. Mi attacco per bene gli scarponi e li blocco sul retro dello sci. Pronti.

Il resto è una discesa rapida con le serpentine, il mal di gambe, la neve che fa rumore sotto gli sci (crash, crash) e velata ti insegue come le onde del mare. Fino all’arrivo. Oddio stanno smontando già le transenne. Sono davvero l’ultimo. Claudia mi corre incontro. Il cane Neve abbaia. Saluto Federico mentre qualcuno mi mette attorno al collo la medaglia della 10° Oetzi Alpin Maraton. E anche questa è fatta. Il mio (ormai) amico Alessandro mi tormenta per gli ultimi istanti con la telecamera e Giovanni mi punta il microfono. Che cosa gli ho raccontato non saprei. Troppo stanco per ricordarlo. Ma felice di un’altra salita conquistata. Una maratona tutta in salita e con tre sport diversi.

Grazie a tutti quelli DSCF5305che mi hanno aiutato a raggiungere questo traguardo, chi mi ha messo a disposizione questo materiale da campioni, la bici, gli sci, l’abbigliamento tecnico, chi mi ha seguito e mi ha atteso, chi ha avuto la pazienza di filmare la mia fatica. Grazie a tutti. E’ finita. Dopo un po’, dopo una doccia calda e lunghissima, riaccendo il mio telefono. Un sms, con la solita efficienza tedesca, mi saluta così: “Ciao Riccardo, ce l’hai fatta! Oetzi Alpin Maraton in 4:31.06,5 (lo 0,5 decimo di secondo, confesso, non l’ho capito tanto) 74. posto cat m50 generale 182. posto. Complimenti”… E’ andata.

P.s. Oggi si è svolta anche la Liegi-Bastone-Liegi, l’ultima delle grandi classiche di primavera di ciclismo. DSCF5320Ha vinto qualcuno (Daniel Martin, team Garmin Sharp), ma leggendo le cronache, chissà perché, considerando la giornata, l’occhio mi è andato subito alla fine della classifica generale. Per la cronaca l’ultimo arrivato è Roman Kreuziger, il penultimo Moreno Moser. Beh, mi sono detto, allora succede anche ai campioni. Sono in buona compagnia – e loro scommetto non dovevano neanche preoccuparsi di tirar fuori la telecamera e di quel dannato led rosso. (Ah, questo nella foto è Martin dopo l’arrivo con birra d’ordinanza al seguito. Prossimamente su Icarus, su Sky sport e sul loro sito, potrete rivedere questa storia). Appuntamento alla prossima salita.

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