posted: 06/03/13 at 09:31 am

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #2 | LA STRADA CHE NON PRESI

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
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Un nuovo post di Riccardo Barlaam per Tutte le salite del mondo.
E chi è Riccardo Barlaam? Scoprilo qui.

Ho cominciato a correre sistematicamente 23 anni fa. In un giorno di primavera romana, tiepida, con quelle sere e quei tramonti che sembrano non finire mai. Da allora non mi sono mai fermato. Ero in uno di quei periodi della vita di cambiamento, di quelli che capitano ogni tanto, che restano impressi e lasciano i segni addosso, come cicatrici dell’esistenza. Davanti a un incrocio, o una rotonda. Con tante strade possibili da poter prendere. Davanti a questa scelta, come tutte le scelte nuove, c’erano speranze, ansie, paure. C’era attesa per qualcosa che doveva cominciare. Ma non sapevo esattamente cosa.

C’ è una poesia di Robert Frost che mi ritorna in mente se ripenso a quel tempo: “Due strade divergevano in un bosco e io/ io presi la meno battuta/ e quello ha fatto tutta la differenza/”. Non so se presi la strada giusta, ma la presi. Dopo l’università, avevo cominciato a frequentare un master in giornalismo. Un ambiente decisamente competitivo, con una trentina persone, che sgomitavano ogni mattina per farsi spazio e sperare di trovare un lavoro in un giornale. Tanti, tutti iper motivati, per pochi pochissimi posti. Una condizione che rispetto ai primi anni Novanta, credo sia drammaticamente peggiorata per i neo laureati di oggi… In ogni caso, anche allora era così. Avevo appena deciso di cambiare casa. A Roma, quartiere Centocelle dove avevo diviso un appartamento con un giapponese buddista tifoso della Lazio, un brasiliano sciupafemmine e un calabrese che studiava medicina, a un certo punto avevo deciso di spostarmi di cambiare aria. Amici. Tutto. E di dare una svolta. Ricominciando da zero. Mi trasferii in un piccolo bilocale poco sopra la stazione Tiburtina dalle parti di piazza Bologna. Il mio coinquilino non lo conoscevo. Era un giovane medico siciliano, Marcello, anche lui laureato, che stava facendo un periodo di pratica-ricercatore in un laboratorio dell’Università della Sapienza all’avanguardia per la ricerca contro l’Aids. Marcello era di poche parole. Occhi neri e sguardo fiero. Era metodico, preciso nelle sue cose. Dalle piccole cose, come la tecnica migliore per mettere una camicia appena lavata ad asciugare, a quelle piu’ grandi. Non c’erano ancora i telefonini cellulari. E ricordo che per Marcello il momento centrale della giornata, quello piu’ atteso, era la telefonata serale con la fidanzata, poi diventata moglie, che viveva a Messina. Era davvero diverso da me. Ma andavamo d’accordo. E non ci volle molto per diventare amici. Fu lui che cominciò per primo a parlarmi della corsa e del suo potere taumaturgico, per così dire. C’è un giro nel parco di Villa Torlonia che facevano tutti i runner, per lo piu’ sui colleghi dell’universita’, giovani professori e ricercatori intrippati dalla corsa. La sfida era quella di completare quel percorso, sempre lo stesso, percorrendo l’anello piu’ esterno del parco che costeggia la Villa e poi la Casetta delle rose, nel minor tempo possibile. Un giorno, decisi di andare con lui. Facemmo insieme il percorso che da casa arrivava al parco e poi un paio di giri dell’anello. Fu una scoperta per me. Non mi importava granché già da allora del tempo. Ma ce l’avevo fatta a finirlo l’anello e a restargli dietro. Madido di sudore, arrivati a casa, sperimentai per la prima volta quella sensazione impagabile di leggerezza e felicita’ che si prova dopo uno sforzo fisico prolungato come e’ una corsa o una maratona o una randonnée in bici. Le famose endorfine, molecole presenti nel nostro cervello, che si liberano e cominciano a correre anche loro nel cervello dopo uno sport di resistenza. Una sorta di droga libera e gratuita che non fa male e che tutti noi abbiamo nel nostro organismo. E che dà piacere.
Con il tempo ho imparato a correre da solo. Ad apprezzare e anzi a ricercarla quella solitudine. Da eremita. La corsa è diventato il mio momento, il momento prezioso della giornata ricercato e atteso, per fare i conti con se stesso, per rimettere a posto i pezzi dell’anima. Che cosa si pensa quando si corre? Ci si potrebbe scrivere un libro sul senso e il significato della corsa. La definizione più bella credo l’abbia data Murakami Haruki nella sua Arte di correre:

“Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. E’ naturale, perché nell’animo umano non può esistere il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per concepire il nulla, e inoltre non è coerente. Insomma, i pensieri che si avvicendano nella mia mente mentre corro sono semplicemente dei derivati del nulla, tutto lì. Si formano ruotando intorno al nulla. Somigliano alle nuvole che vagano nel cielo. Nuvole di grandezza e forma diverse che arrivano, e se ne vanno, semplici ospiti di passaggio. Ciò che resta è soltato il cielo, che è sempre lo stesso”.

Ci sono stati lunghi periodi in cui la corsa era un appuntamento quotidiano. Altri in cui almeno due tre volte alla settimana mettevo le scarpette. Da allora pero’, dai tempi di villa Torlonia, non mi sono mai fermato e ho sempre corso. Marcello non ha mai saputo del regalo che mi ha fatto. Dopo qualche anno ho cominciato a fare anche delle maratone, per il gusto della sfida e per avere una scusa per allenarmi. Non le conto neanche piu’. Ne avro’ concluso una ventina almeno. E una volta l’anno almeno, in questi venti e passa anni, l’appuntamento con una gara sulla distanza dei 42km è stato un modo per avere lo stimolo per uscire a correre. Non sempre facile…

Così è anche quest’anno.

Anche per un ciclista o aspirante tale, la corsa durante l’inverno e’ il modo piu’semplice e veloce per conservare e mantenere una buona condizione fisica e fare un allenamento propedeutico alla bici. Lo sforzo è simile. Anche se diverso. E soprattutto in meno tempo con la corsa si fanno cose che con la bici di tempo ne pretendono almeno il doppio.

Tra poco meno di due settimane c’è la maratona di Barcellona. Nello stesso giorno in cui si corre quella di Roma che ho fatto nel 2012. Ebbene, fino all’inizio del mese di febbraio la mia caotica e casuale preparazione e’ stata abbastanzaa coerente: sono riuscito a correre piu’ volte alla settimana anche con la neve e il freddo, sul Naviglio grande e i canali del parco del Ticino, nelle giornate piu’ dure di questo lungo inverno. La domenica via via ho allungato le le distanze fino ad arrivare all’inizio del mese ai 25 km dei Sentieri di Santa Cristina, un trial, una corsa in mezzo ai boschi al fango e alle salite che si tiene ogni anno a a Borgomanero, sulle colline novaresi. La cosa piu’ bella di questa gara podistica – a parte il fatto che è dura, ma questo diciamo è un pre requisito – e’ che a un certo punto, quasi alla fine, si arriva da una vallata verde su un poggio, dove c’e’ una chiesa e una cascina. Un poggio in mezzo alla pianura come se fosse un monastero ortodosso nelle Meteore, in Grecia, per capirci. Per salire in alto sul cucuzzolo l’unico modo e’ quello, di inerpicarsi ansimando lentamente su una ripida scala di terra e gradoni in legno che costeggia i vigneti. In alto, ad attenderti c’e un ragazzo che suona la fisarmonica e poi l’agognato ristoro… Solo per questa sensazione questa gara, almeno una volta nella vita, vale la pena farla.

Poi è successo che sono rimasto fermo una decina di giorni costretto da una strana influenza di stagione, che mi ha abbassato la temperatura corporea anche a 35 gradi e che sembrava non passare mai. Insomma, la preparazione per maratona di Barcellona è andata a farsi benedire. Forse e’ un bene. Cosi’ arrivare fino in fondo non è scontato come poteva esserlo qualche settimana fa. La mia vittoria sara’ arrivare. La cosa interessante è che non ho affatto dei sensi di colpa, da tempo, per qualsiasi prova di resistenza che vado a fare. Gran parte delle persone che conosco e che partecipa a queste gare ha un approccio più scientifico, per così dire. Si affidano a tabelle che seguono meticolosamente come fossero Vangelo. Io non riesco a starci dentro a questi schemi. E quando ci ho provato il mio corpo a un certo punto si è “rotto”, infortunato dal troppo allenamento.

A ogni partenza c’è sempre la paura di non farcela ad arrivare sino in fondo. E’ una sensazione troppo bella per nasconderla sotto strati di sicurezza, o presunta tale, mascherata da atletismo. Quindi, meglio – per me almeno – fare tabula rasa e godersi la strada che, alla fine, ho deciso di prendere. La meno battuta.

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