posted: 06/05/13 at 02:36 pm

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #18 | MONTE GRAPPA

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
Commenti: No Comments »

Lunedì scorso mi è capitato di tornare a Rossano Veneto, nello stabilimento della Wilier Triestina, sponsor tecnico del progetto ‘Tutte le salite del mondo’. BicigrappaNe ho già parlato in queste pagine virtuali, ma visitare posti come questi per gli appassionati delle due ruote è un po’ come per un cristiano andare a San Pietro. Credo si provi un’emozione simile, da tempio dove nascono le biciclette. In Italia ci sono 4 o 5 posti così… Appena entrati nello stabilimento, oltre alle miriade di bici in produzione, scatole di componenti e di ruote pronte ad essere montate nei telai in carbonio, oltre alla catena di montaggio dove girano i meccanici super specializzati della casa dell’Alabarda di Trieste, colpiscono su tutte le bici storiche conservate da un lato dello stabilimento in bella mostra: quella dei tempi di Fiorenzo Magni, Leone delle Fiandre e quella di Marco Pantani, il pirata delle salite più ardite di cui mi ripropongo di parlare più avanti…

Un’altra cosa che mi ha colpito di questo posto è che gran parte delle persone con cui ho parlato, dal responsabile marketing, all’amministratore delegato fino a un operaio conosciuto per caso alla macchinetta del caffè (“il primo maggio finalmente non dovrebbe piovere e potrò andare a fare un po’ di salite”) si illuminano quando si comincia a parlare di bicicletta e di uscite in bici. Non un  lavoro, ma una passione che diventa lavoro.

La scusa per tornare da Wilier era quella di riportare a casa un gioiellino che ho avuto in uso per un po’, una mountain bike con cui ho partecipato alla Oetzi Alpin Marathon: la101XN, la versione off-road della Cento1, il top della casa per il fuoristrada con le ruote grandi da 29’, sviluppata a partire dalla tecnologia utilizzata nel modello da strada che ha migliorato leggerezza, rigidità, guidabilità. Ho portato anche la Cento1 per un “tagliando”, la specialissima da strada che userò per tutte le sfide in salita e al prossimo Challenge, il mezzo ironman che si svolgerà a Rimini, il 26 maggio. In meno di un’ora me l’hanno rimessa a posto… Prima del previsto. Tanto vale provarla. Ho un paio d’ore libere. Le previsioni meteo danno pioggia ma la tentazione è troppo forte per vedere da vicino e sentire sui pedali e nelle gambe come sono le salite del mitico Monte Grappa, l’Alpe Madre, 1775 metri sul livello del mare e delle erte che non hanno eguali nelle Prealpi e niente da invidiare a Stelvio e co., quelle più celebri delle Alpi.

Il Monte Grappa Cartelloè uno dei luoghi più carichi di significato per chi ama la pace. La memoria è importante per non dimenticare l’orrore della guerra. Nella prima Guerra mondiale grande Guerra in queste montagne e in tutto l’altopiano di Asiago si massacrarono a migliaia soldati italiani e austriaci. Dopo la sconfitta di Caporetto, il Monte Grappa divenne il punto più importante della difesa italiana. Gli austriaci tentarono a lungo e inutilmente di conquistarlo per avere accesso libero alle pianure. Su questi monti, nei boschi, nelle trincee e nelle gallerie si svolsero battaglie sanguinosissime. Persero la vita decine di migliaia di soldati (25mila tra gli italiani nel solo mese più intenso di combattimenti).

Nella seconda guerra mondiale qui si nascondevano i partigiani che combattevano per liberare l’Italia dai nazi-fascisti. I nazisti e I fascisti fedeli alla Repubblica di Salò, negli ultimi bagliori della Guerra, qui fecero una sanguinosa retata. Nell’operazione vennero impiegati 15mila uomini per scovare e uccidere i 1.500 partigiani nascosti nelle pendici della montagna. Quelli che non vennero uccisi sul posto, vennero giustiziati in piazza a Bassano del Grappa.

I fantasmi di questo passato recente – non so come dire – si sentono nell’aria. Nei luoghi simbolici – i monumenti, il sacrario militare, le chiese, le lapidi – ma anche nella terra, nei boschi, negli alberi, nelle trincee scavate tra le rocce. E’ tutto imbevuto di questa storia. La natura non dimentica il peso dei morti.

Per capire un po’ di più che cosa rappresenta queso posto, vi riporto una pagina di Igino Giordani, scrittore, giornalista e politico antifascista, in odore di santità, dalla sua biografia “Memorie di un cristiano ingenuo”, che su questi monti combattè da giovane ufficiale dell’esercito, nella Grande Guerra e fu insignito di una medaglia al valore ma che anni dopo divenne pacifista, contro tutte le guerre e negli anni Cinquanta presentò il primo disegno di legge per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza:…

“La trincea! In essa, dalla scuola entrai nella vita, tra le braccia della morte dentro selve di cannoni. Borso del Grappa-20130429-00312Fango, freddo, sporcizia, attutirono la scoperta amara: che i soldati erano tutti contrari all’omicidio detto guerra: tutti la detestavano; tanto che mi convinsi di una verità: essere nel secolo nostro la guerra un’operazione fatta contro il popolo, in spregio alla libertà di esso e alla cosiddetta democrazia. Se uno statista dichiara la guerra, si può argomentare, a occhi chiusi, che è un nemico del popolo: difatti, allestisce al popolo, miseria e stragi. Nei tempi moderni, la guerra è stata asserita e fatta soprattutto da Hitler, da Stalin, da Mussolini: tre pazzi: segno che, se non si sta accorti, a dirigere lo Stato può salire un genocida”.

Ancora Giordani, dalle sue memorie:

“Un giorno ci fu annunciato che dal Piave dovevamo trasferirci all’altipiano di Asiago, dove era in corso un’offensiva. A piedi, in più giorni di marcia, raggiungemmo un monte chiamato Zebio, donde fummo presto rimossi a una sua propaggine chiamata Mosciag. Lì non c’erano trincee; c’erano rocce e alberi e fratture del suolo. Su quel pendio, solcato da boati, ricordo la preghiera d’un soldato, che mi scongiurava di aiutarlo a non morire; che, se moriva lui, i suoi bambini e sua moglie e i vecchi non avrebbero avuto di che sopravvivere; e poi non voleva morire, perché la morte gli faceva paura e non era per lui, dacché era per la vita: per l’umile vita di un operaio, a cui basta poco, e si contenta anche di meno…  Stanco di parlare e di supplicare, con una voce piagnucolosa, a un certo momento piantò la fronte sulla roccia: un proiettile gli aveva trapassato il cervello”.

La bicicletta è un mezzo lento, più lento dell’auto. Porta con sé un approccio più rispettoso dei luoghi. GrappachiesaCon la bici non sei chiuso tra quattro pezzi di lamiera d’acciaio. Tutto quello che c’è attorno, pioggia, vento, sole, ti arriva senza isolamento alcuno. Quando vai in auto il panorama è filtrato dai vetri fumè, i suoni e i rumori della natura – avete presente il canto degli uccelli in un bosco al primo mattino – non ti arrivano. Con la bici (e anche a piedi) è tutta un’altra storia sei immerso nel mondo, come una fragola immersa nella crema della nonna appena fatta. Anche oggi, mentre mi appresto a pedalare su questi monti che parlano, è così. Piccolo particolare. Piove che Dio la manda.

Il Monte Grappa Borso del Grappa-20130429-00313si può salire da diversi versanti. Le salite su strada sono dieci.  Comunque lo giri, è tostissimo. Da qualche anno, nel mese di luglio si svolge il Montegrappa Challenge, una gara da stambecchi: il percorso più lungo prevede tutte le salite di cui sopra con 273 km e più di 8mila metri di dislivello da superare!, con 24 ore di bici…

Io ho un paio d’ore di tempo prima di ripartire verso Milano. Luca della Wilier, appassionato ciclista, mi ha consigliato di fare la salita che parte dopo l’abitato di Semonzo. Di fermarmi nel parcheggio della chiesa, davanti al monumento. E da lì che comincia il calvario. “e una strada molto panoramica ma soprattutto la meno frequentatata dalle auto”. L’ideale per un ciclista eremita come me, che nella fatica cerca anche la meditazione, di entrare in contatto con la parte più vera di sé, lontano dai rumori della vita di tutti i giorni.

Ecco che cosa scrive a proposito di questa salita l’estensore del sito del Montegrappa Challenge.

“La seconda salita: senza respiro!

La salita di Semonzo (SP140) è considerata da molti la più dura delle 5 scalate. E’ un’affermazione condivisibile, se pensiamo che sono 19

km all’8% medio. Tuttavia la pendenza massima è intorno al 15%, non ci sono le punte “estreme” che abbiamo trovato nella prima ascesa.  SemonzoNe consegue che la difficoltà è nel suo essere sempre dura e regolare. Un’altra difficoltà potrebbe essere dovuta alla sua esposizione a Sud e alla protezione offerta dalle piante: scarsa quella offerta dai cipressi della prima parte, inesistente nella seconda. La prima parte (21 tornanti, 8,5% medio, partendo dalla Chiesa di Semonzo), ci porta a Campo Croce. Al tornante numero 16 c’è però l’obbligo di fermata al Bar al Deltaplano, sul Col del Puppolo, unico punto di controllo lungo le salite della Monte Grappa Challenge. A Campo Croce c’è più di un km dove possiamo recuperare energie per la seconda parte, più dura della prima. Al bivio per Camposolagna teniamo la destra seguendo le indicazioni per Baita Camol: 2,3 km all’10,8%. Un po’ di discesa lascia spazio per recuperare, non ve ne saranno altri. Si sale ancora con strappi ad oltre il 10% di pendenza fino al ricongiungimento con la Strada delle Malghe. Di lì il percorso è esattamente quello descritto nella prima salita. Al Rifugio Bassano termina la nostra fatica”… Auguri. Viene da dire.

Comincio a pedalare sotto la pioggia. Mi sono coperto con quello che avevo, una mantellina e un cappellino sotto il casco. Ma non ho maglie pesanti. Sotto la mantellina una maglia da ciclista estiva e solo la pelle che a contatto con il nylon si bagna in un secondo, il tempo di fare pochi metri di ascesa. Comincio a macinare e a salire sui tornanti che carattizzano la prima parte dell’ascesa. Vado su regolare a 12-13 all’ora. Per il momento non sento freddo, il ritmo delle pedalate mi garantisce una termoregolazione naturale del mio corpo, nonostante sia già bagnato come un pulcino. Solo quando si sale il freddo comincia a farsi sentire. Stringo i denti sono all’inizio della salita. Durante l’ascesa non incontro nessuno: Luca aveva ragione. Né auto né tantomeno bici: le condizioni sono davvero estreme. Attorno a me il verde domina su tutte le altre sensazioni assieme ai tornanti, interminabili, e ai cartelli che li indicano con un numero… Fino in alto ne ho contati una ventina (21 per la precisione con l’8,5% di pendenza media). Il Garminora segna una pendenza media del 13%. La cosa impegnativa di questa salita è che non hai un attimo di respiro, che ne so, quattro-cinque metri dopo quella curva in alto. Zero. Si sale sempre. E continua a piovere di brutto.  L’unico essere umano che incontro durante l’ascesa è uno stradino su un trattore che sta pulendo I bordi della strada dal fango e dalla terra. Mi guarda sorpreso, come se assieme a lui, fossi l’unico uomo sulla terra. Due vivi in un posto che parla di decine di migliaia di morti. Lo saluto. Gli chiedo quando manca al Rifugio Bassano. Lui guarda il cielo nero e allarga le braccia, come a dire: chi te lo fa fare. E in Veneto stretto mi dice qualcosa tipo: ce n’è ancora un po’ davanti a te… Arrivo al bar da dove si lanciano con i deltaplani nella bella stagione. Chiuso. Come chiuse sono tutte le cassette che incontro sulla strada. Stringo i denti bagnato come una spugna. San Zenone degli Ezzelini-20130429-00321Per un attimo penso che sarà durissimo scendere a 40 all’ora così bagnato. Il solo pensiero mi fa venire i brividi. Continuo a pedalare e disegnare traiettorie tra un tornante e l’altro. Quando mi sembra di non averne più mi alzo sui pedali e cerco di rilanciare, mi butto in avanti, in avanti con il cuore e le forze quelle che ancora ci sono… Al tornante 21 la prima parte della salita è finita, intravedo il tunnel nella roccia che divide le due parti dell’ascesa. A questo punto la montagna spiana per qualche centinaio di metri per poi ricominciare la seconda parte della salita…. Ma sono solo, bagnato, comincia a fare freddo e io a questo punto mi sento come Paolino Paperino. In queste condizioni è troppo dura. Rischio di prendermi una bronchite.

Poco prima di Campo Croce decido in un attimo – è strano: quando vuoi mollare ci metti un attimo è una delle decisioni più rapide della storia – di girare la mia bici verso valle e, sotto un acquazzone, con gli schizzi che in discesa vanno da tutte le parti, i piedi inzuppati, il culo bagnato, insomma io versione pesciolino Nemo dentro l’acquario, comincio a scendere con un freddo boia nelle ossa. Senza sensi di colpa rispetto ai miei propositi iniziali (tanto so che prima o poi, magari con il sole, ci tornerò in questo posto) Ma non vedo l’ora che finisca questa interminabile discesa. DoposalitaSotto l’acqua i freni frenano a fatica, bisogna spingere forte e si rischia di scivolare a ogni metro piegandosi da un lato all’altro dei tornanti. Finalmente intravedo la chiesa di Semonzo e l’auto. Durissima. Questa foto testimonia le mie condizioni alla fine di questi 12 km di salite e di altrettanti di discesa. Un’ora di bici che non dimenticherò facilmente.

Leave a Reply