posted: 07/06/13 at 11:24 am

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #26 | STELVIO E MORTIROLO

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
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Lo Stelvio è il paradiso dei ciclisti. Il Mortirolo l’inferno. StelvioDue salite micidiali. Le ho fatte una dietro l’altra qualche giorno fa, con due telecamere attaccate sulla bici. Due  camere che facevano più pesante la Wilier CentoUno (da 6,5 kg), rendendo ancora più faticosa, pedalata dopo pedalata, la lunga duplice ascesa. Lo Stelvio è la montagna sacra del Giro d’Italia. Uno scenario puro, austero, solitario, pieno di fascino e di storia con i suoi interminabili 48 tornanti (27 più dell’Alpe d’Huez), i 21,9 km di ascesa e 1.560 metri di dislivello. C’è qualcosa di spirituale in questa salita. Il panorama è maestoso. Si è vicini al cielo. E si ha la sensazione di essere parte di una natura selvaggia e incontaminata. Uno, piccolo, infinitesimo, parte di Tutto.

Lo strada dello Stelvio fu voluta da Francesco I, imperatore d’Austria, nell’Ottocento, per collegare l’Austria alle province a sud dell’impero, all’Italia settentrionale. La strada, il lungo serpente d’asfalto, è il valico più elevato d’Europa dopo il Colle dell’Iseran (2.770 metri). Fu costruita da un ingegnere della provincia di Sondrio, passato alla storia per i suoi progetti, Carlo Donegani, che disegnò anche le volute del Passo dello Spluga

Il Giro d’Italia non ci è arrivato molto spesso sullo Stelvio, Stelvio1durante le sue cento e passa edizioni. Ogni volta è una lotta, una sfida con la neve sempre in agguato a quota 2.758 metri. Anche quest’anno la tappa è stata annullata: causa neve.

Oggi per la prima volta nel 2013 un gruppo di ciclisti che partecipano alla Gran Fondo Stelvio Santini salirà su fino alla cima, appena riaperta. Ci sarò anche io.

Sullo Stelvio il Giro ci arrivò per la prima volta nel 1953, nell’Italia del dopoguerra, delle speranze e delle radio che gracchiavano la cronaca della giornata. Fausto Coppi, Coppiil campionissimo, un uomo solo al comando, staccò tutti con una progressione tremenda. Il suo rivale Hugo Koblet rimase a guardare. Vinse la tappa – dove oggi c’è la Cima Coppi e il monumento che ricorda quell’impresa – e poi il Giro. All’arrivo era così stanco che, raccontò, “credette di morire” dalla fatica. Nel 1961 vinse Charly Gaul, da solo anche lui, l’Angelo della montagna. Il Giro arrivò sullo Stelvio ancora nel 1956 e nel 1972, passando però non da Bormio ma dal versante Ovest della salita. Nel 1980 vinse Jean-René Bernaudeau, il gregario fedelissimo di Bernard Hinault, secondo all’arrivo, che gli cedette la vittoria di tappa ma si prese il Giro sul povero, solo, Vladimiro Panizza. Bernaudeau aveva perso il fratello in un incidente in canoa qualche settimana prima. Quel giorno aveva la morte negli occhi e nel cuore. Hinault raccontò che ebbe paura perché il suo gregario si lanciò a tutta nella discesa, lungo i tornanti, lungo i tunnel poco illuminati che scendono dallo Stelvio: “Non ha frenato neanche una volta, quel pazzo”… Nel 1984, sempre per la neve, la tappa fu annullata all’ultimo momento, tappa che avrebbe probabilmente lanciato il più forte in salita, Laurent Fignon, e che invece non si fece, anche se la neve rimandata dalle immagini degli elicotteri sul valico non c’era, consacrando nella crono di Verona la vittoria di Francesco Moser da Palù di Giovo, per una manciata di secondi. Anche nel 1988 la tappa fu cancellata per il maltempo. Nel 1994 arrivò primo in cima Francesco Vona, ma la sua impresa fu oscurata da quella di Pantani che nella stessa tappa lo riprese sul Mortirolo e poi staccò tutti e diventò Pantani. Nel 2005 Basso, che aspirava alla vittoria finale, ebbe problemi di stomaco che uniti ai tornanti micidiali dello Stelvio gli fecero perdere 42 minuti in classifica generale e tutti i sogni di gloria. Nell’anno in cui il Giro lo vinse il canadese spilungone Heisendal si arrivò di nuovo sullo Stelvio, dopo il Mortirolo (2012). C’ero anche io all’arrivo, salito su in bici con gli amici Fufu: vinse Thomas De Gendt, gli altri della carovana arrivarono su come cani bastonati. Ricordo la faccia e l’andatura a zig e zag negli ultimi metri del bravoAlessandro Ballan  (forza Ale).

Nel Giro del 2005 Marco Pinotti, cronomen, quando arrivò sullo Stelvio, alla fine, sui pedali, le mani sul manubrio, il fiato rotto, stravolto, parlò di questa salita come di un’”esperienza ascetica”. Un atto di sacrificio quasi religioso.

Il Mortirolo invece è agonia, sofferenza pura, dolore voglia di mollare e mal di gambe. Stelvio2Una delle salite più dure del mondo. La strada da Mazzo in Valtellina, lungo una mulattiera, è stata asfaltata nei primi anni Novanta. Ed è entrata subito nella leggenda per la sua durezza. In 12 km si passa da 552 metri a 1.852 metri, più di 1.300 metri di dislivello, con una pendenza media del 11-12% (che nelle gambe sembrano di più vi assicuro) e punte micidiali che superano il 20%, su un fondo accidentato che non è di asfalto ma in cemento, zigrinato, interrotto dai salti, feritoie di 5-10 cm che si aprono lungo la strada, per far defluire l’acqua. In quel tratto si fa fatica perfino a tenere su la bici, ché la ruota anteriore, in perenne conflitto con la gravità, tende ad alzarsi all’indietro.

Nel ’94 è rimasta negli annali del ciclismo la vittoria di Pantani, che partì che non era ancora il Pirata, aveva pochi capelli, giovanissimo, pesava come uno scricciolo, a testa bassa, le mani in basso sul manubrio, partì con degli scatti micidiali, ripetuti, uno dietro l’altro, fino a quando non riprese Vona che era in testa, e staccò tutti i campioni, che in quell’anno si chiamavano Indurain, Chiappucci, Berzin, l’ultimo a mollare. Li staccò tutti e divenne il Pirata, il guascone dalla faccia triste, il dio delle salite, solo cuore e gambe, prima ancora che la chimica e la gara con i giganti come Ulrich cresciuti a pane e doping a Berlino Est e la caccia grossa di 8 procure della Repubblica lo trasformarono in un fantasma di se stesso. Al Mortirolo cominciò l’epica, l’ascesa del campione e qui anche la sua disfatta. Maglia Rosa, anno 1999. Tutti ricordano la pugnalata che arrivò nel cuore dei tifosi il giorno in cui si diffuse la notizia che l’avevano fermato alla partenza, sospetto di doping, con il Giro già in tasca. L’inizio della fine.

Nel 2006 sul Mortirolo vinse Basso su Simoni. E sempre Ivan, rinato dalle storiacce chimiche, rivinse qui, cuore e testa, in agilità con una frequenza di pedalate micidiale, nel 2010. L’anno della sua rivincita sul doping e sul nero più nero del ciclismo.

Il Mortirolo è dunque una vittoria sulla verticalità. Oggi sono qui a provare ad arrivare in cima anche io. Sono appena passati i primi della Gf Santini che andavano a tutta. Io provo a salire al mio passo. Eh sì che sono allenato un po’. Qualche migliaio di km sulle gambe ce l’ho. Certo. La scorsa settimana ho fatto un mezzo Ironman a Rimini. E ancora sento la stanchezza in corpo, qualche ingranaggio qua e là che non va come dovrebbe. Ma che cosa saranno mai 12 km di salita? mi dico, mentre comincio a risalire i primi tornanti del Mortirolo, le mani sul manubrio staccato dalla sella. Cercando di pedalare in agilità, come cerco di fare in questi casi, senza strappi, non sapendo bene quello che mi aspetta, se non in linea teorica. Sì perché le salite quando le fai… Quando ti ci trovi d fronte per la prima volta, sui pedali come nella vita, non sai mai come saranno. Come farai a conquistarle, a superarle. Non è solo questione di dati tecnici: km, altimetrie e cose del genere. Può aiutarti il racconto di chi ci è già passato. Tutto quello che volete. Ma a un certo punto, per quanto tu possa essere preparato nel fisico e nella mente, te la devi giocare. Da solo. Tu e la bestia nera di questo strappo dannatamente duro da superare. Tu e i tuoi limiti fisici. Tu e la stanchezza. Tu e il peso. Tu che vorresti essere Pantani ma somigli a un lottatore di Sumo. Insomma: poche ciance, è arrivato il momento di pedalare e mentre continuo a salire, di curva in curva, mi accorgo che i km di questo dannato Mortirolo diventano lunghissimi, eterni, sembrano non passare mai. La mia stanchezza diventa dolore puro. Stelvio4Vado avanti non so come, e non sono neanche a metà della salita, cercando dentro di me le risorse e la forza per continuare a far girare le gambe. Il Garmin mi dice che la velocità è scesa a 6, poi 5, 4. Cavoli: non sono mai andato così piano. Di solito anche le salite più dure riesco a passarle a 9-10 all’ora. E la strada diventa un tormento, le cellule del mio corpo un grido silenzioso di dolore. La cosa è ancora più complicata dal fatto che devo raccontarla questa salita per Icarus-SkySport. Ho due  telecamere puntate sulla bici che fermano ogni istante di questa sofferenza, ogni pedalata, ogni mia espressione. E poi Gulli, il cameramen di Sky, e Stefano, l’amico di Bormio che lo accompagna sulla sua moto Bmw, una moto enorme, che fa fatica anche lei su queste coste.
“Fa dei rumori strani, quando deve ripartire da fermo con queste pendenze”, dice Stefano, motociclista-filosofo che accompagna spesso i ciclisti su queste salite della Valtellina, che sa com’è questa bestia e sa come è duro domarla, ma ogni volta si sorprende ancora un po’ per la sua durezza.
Gulli mi incita. “Dai che vai bene”. Mi chiede come mi sento… Come mi sento? Sento che vorrei mollare mille e mille volte. E dannato il momento in cui mi sono messo in testa dai miei Stelvio5quasi ottanta chili e quasi 50 anni, di fare queste salite. E poi c’è anche il tratto tostissimo. Gli ultimi due km. Non finisce mai! Prima dell’inferno finale c’è un tratto che spiana e le ruote riprendono a girare, il cuore rallenta per qualche minuto il suo ritmo rock’n’roll. Sono pronto (in teoria) a tutto. Ed eccola qua la bestia, il cemento sulla strada, i tagli dell’acqua, dove anche se passi piano devi cercare di alzare la ruota davanti per non rischiare di cadere (in salita!). La strada si stringe e si fa fatica a restare su. A un certo punto davanti a me c’è uno che rallenta. Si ferma. Mi fermo anch’io per staccare i piedi e non finire a terra come un sacco di patate. Riprovo a ripartire ma non riesco a farlo per la pendenza e la stanchezza. Niente da fare.

Scendo dalla bici e continuo a piedi dieci, venti, 50 metri fino a quando non spiana (si fa per dire) e riesco a risalire sulla sella. Vedo Gulli dall’alto che mi riprende con la telecamera. Ce la metto tutta, mi piego sui pedali e continuo, tutti nervi a salire sfidando il peso e la gravità, fino alla casa in legno, a un gruppo di case alpine in sasso e legno dove una signora mi invita a fermarmi. “Ho fatto la polenta”. La saluto con un sorriso e con il cuore ma continuo per gli ultimi, infiniti, tratti, fino al ristoro che sembra ancora non arrivare mai. Ci arrivo quasi barcollando. Ma come diavolo fanno i professionisti a passarci a 20 all’ora? Micidiale. Bevo qualcosa di caldo. Ingurgito un paio di piccoli panini, mi copro e riparto, più o meno lucido, lungo il versante che scende dall’altra parte della salita verso la valle e risale fino a Bormio…

Non è finita qui, anche se mi piacerebbe, confesso. C’è ancora lo Stelvio da fare. Ci sono salito già con la bici e so com’è la salita. Ricordo tutti i tratti, l’inizio i rettilinei fino ai Bagni Vecchi e subito dopo, la serie di gallerie poco illuminate con l’umido e l’acqua che scende dalla montagna sventrata, i tornanti e poi gli ultimi tratti, ascetici, vicini al cielo.

Ma oggi sarà diverso. Lo sento già nelle gambe. Salire su a 2.758 metri, dopo aver fatto il Mortirolo è come quando arrivi alla fine della frazione di bici dell’Ironman (180 km + 3,8 km a nuoto) e devi cominciare una maratona di corsa di 42 km. La stessa sensazione. Ti sembra  impossibile. Non ce la puoi fare. Mi dico mentre attraverso la strada che sale tra le ultime case di Bormio.

E’ incredibile davvero provare quanta forza c’è dentro ognuno di noi. Quando non ce la fai più… scatta qualcosa. E vai. Non so spiegarlo. Non senti più niente. Fatica. Dolore. Vai avanti. Continui nel tuo sforzo infinito. Solo cuore nel motore che vince sulla testa e sui segnali del corpo che a ogni metro grida di mollare. Non mollo. StelvioarrivoMa vado. E immerso nelle Alpi, in questo scenario scarno, essenziale e infinito, con la neve, il freddo, le nuvole grigie, vado avanti, conquistando la salita, la mia salita interiore, metro dopo metro. In una strana sensazione di intima serenità, vado avanti, senza più niente da dare. Oltre la fatica e oltre il pensiero stesso di doverla superare. Oltre ogni pensiero. Immerso nel sacrificio di questo tempio della natura che è lo Stelvio. Un panorama che resterà per sempre impresso, fotografato, di quelle foto indelebili come certi ricordi dell’infanzia, quelli più cari, della madre, di un figlio che nasce, di un amore, uno sguardo, di mani che ti cercano e ti abbracciano, nella mia piccola anima. Grande in questo momento come è grande lo Stelvio.

Ps. Per la cronaca, all’arrivo sullo Stelvio, nevicava.  Negli ultimi tornanti ho incontrato Germano Borgonovi, un compagno di squadra dei Brontolo Bike: sembrava un fantasma anche lui. Da soli, ognuno a fare i conti con se stesso, davanti a questo tempio del ciclismo, conquistato in una giornata epica, tra muri di neve, la strada appena riaperta, il freddo, i fiocchi che scendono e la felicità più pura. A 500 metri dall’arrivo si è messo a suonare il telefonino. Dannazione: non l’ho spento. Poi, molto poi, ho richiamato. Era il mio amico e collega Gerardo Pelosi che oggi ha fatto la Cortina-Dobbiaco di corsa a piedi e che voleva vedere se ero ancora vivo! Sono ancora vivo, dannazione… Più vivo che mai. Grazie Stelvio.

One Response to “TUTTE LE SALITE DEL MONDO #26 | STELVIO E MORTIROLO”

  1. Flavia Padovano ha detto:

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