posted: 29/04/13 at 10:29 am

TUTTE LE SALITE DEL MONDO #16 | PEZZI DI VETRO

By: Ufficio Marketing
Categoria: Storie
Commenti: No Comments »

Fare spazio. Allargare lo sguardo. E il cuore. GAggianoLa cosa forse più interessante dello sport è che per allenarsi, per terminare una gara, per continuare ad andare avanti in un movimento sempre uguale e che costa fatica, bisogna ascoltarsi. Si è costretti a guardarsi dentro. A sviluppare l’introspezione. Trovare degli angoli liberi dal rumore dell’esistenza, che ci sono, nascosti tra strati di mail, cose da fare, connessioni simil- indispensabili con il mondo virtuale ma in verità inessenziali, mettere da parte tutto questo per un attimo e andare in profondità. L’attività fisica così diventa un atto interiore, più vicina alla meditazione, a una ricerca di serenità o di karma positivo piuttosto che a un affare di tabelle, velocità, prestazioni.

Così è per me – o almeno cerco di farlo essere così – soprattutto quando si parte al mattino con una nuova giornata e ci sono ancora tutti i pezzi della giornata da mettere in ordine. Può aiutare in questo una pagina di un libro, una frase, una lirica, un pensiero positivo.

Ve ne propongo una di pagina di Didier Trinchet, dal suo Piccolo trattato di ciclosofia:

“Il celebre precetto socratico ‘Conosci te stesso’ avrebbe un proprio posto in un’opera di ciclosofia. Allo stesso modo di quest’altro detto, di impostazione più orientale: ‘Per cambiare il mondo, cambia il tuo sguardo sul mondo’.

“Dall’alto della bicicletta, il mondo è diverso. (…) E’ uno sguardo al di là dell’immediato, che può abbracciare (che bella parola) tutti i possibili itinerari a venire, senza mai sentirsi prigioniero. E’ al tempo stesso uno sguardo totalmente presente; in ogni istante mille dettagli di ciò che lo circonda lo sollecitano, libero com’è da ogni carrozzeria fisica o mentale.”

“La ciclosofia è pertanto l’insieme delle idee, delle intuizioni e delle sensazioni nate sulla bicicletta. Questo luogo privilegiato e paradossale di rilassamento nella tensione circostante, produce un tipo di meditazione particolare, spesso vicina all’illuminazione”.

“Non è solo la bicicletta che viene spinta in avanti, è anche lo spirito improvvisamente percosso da una moltitudine di idee (…). La parte puramente creativa dello spirito può così liberarsi. (…)”.

Archiviata la maratona delle Alpi, ho ripreso ad allenarmi. Dopo un giorno di stop. Il riposo è molto importante. Per il nostro fisico e le sue antenne sempre pronte a lanciarci segnali, è più importante forse degli allenamenti stessi. I muscoli duri rigidi, l’acido lattico, i nervi tesi come corde di violino. Uno dei rischi più grandi dei periodi di carico, dei periodi nei quali ci sono quotidianamente allenamenti da fare, condizione comune per chi in questi mesi si sta preparando per gare di endurance, ironman o cose del genere, è quello di farsi male. Gli infortuni sono molto comuni nei periodi di iper allenamento. E non bisogna trascurare i segnali che il nostro corpo ci manda. Se non ci si ascolta prima o poi, più prima che poi, il giocattolino perfetto che è il nostro corpo si rompe, qualcosa si inceppa inevitabilmente. E allora salta tutto. I nostri programmi e la gara. Tanto desiderata.

Mi è capitato qualche anno fa. Non ero riuscito a terminare la 100km del Passatore (ritirato a Marradi, più o meno al 70esimo chilometro, notte fonda, freddo e tanto tanto sonno) e volevo riprovarci per arrivare in fondo: sapete com’è, si scoprono mille e mille modi sottili, per farsi male… Come dice il mio amico Sandro Sgriccia, che di mestiere fa il neurologo ed ha a che fare con la mente e i suoi misteri tutti i giorni: “Se non son matti non li vogliamo”… E’ così. Ebbene, quella volta cominciai a prepararmi meticolosamente, seguendo – e che diamine non puoi sempre improvvisare – delle tabelle di allenamento, con tempi, ripetute, recupero e balle varie. Tutto bene. Riuscii a fare i lunghi: 60-65 km in allenamento da solo di corsa da spararsi nelle vene, non so se avete presente. Riuscii a fare anche le ripetute che sono le cose che odio di più: dieci scatti lunghi qualche chilometro con il fiato corto e il cuore che batte forte forte e poi recupero lento. Tutto pronto per la 100 km di Seregno che quell’anno si faceva di giorno e non di pomeriggio-notte come il Passatore e non c’era neanche il rischio (scusa sopraffina) del sonno… Una o due settimane prima della gara, quando ormai dovevo solo riposare, mentre salivo una rampa di scale ho sentito un CLAC al ginocchio. Basta. Finito. Non riuscivo più neanche a camminare dal dolore. Figuriamoci pensare di fare 100 chilometri di corsa da solo. Da allora la 100 è rimasta uno dei sogni nel cassetto da fare, prima o poi. Da allora, però, non ho più mai seguito le famigerate tabelle ma solo il mio corpo e i segnali che mi lancia se solo li sai ascoltare.

Così martedì ho ripreso ad allenarmi in piscina, con i miei amici Master di Abbiategrasso che avevo tradito per qualche settimana per concentrarmi su corsa e bici prima della Oetzi Marathon. Mi salutano sempre con molto calore. Sanno delle mie gare pazze e hanno rispetto per quello che faccio, nonostante mi accorgo mi considerino uno strano, una specie di matto ma un po’ fenomeno per la voglia che ho di fare queste cose. Io fenomeno non mi sento neanche un po’. Semplicemente sto meglio facendo sport, nel fisico e nell’anima. Mi piace nuotare a lungo, mi piace correre e andare in bici. E per questo continuo. E non posso farne a meno, come di un cibo che ci piace tanto o il sorriso di una persona amata. Tutto qua. Mi butto in acqua ma già so che con farò tutto l’allenamento come loro. Gli scatti, le serie di ripetute, su e giù per la vasca da 25 metri per un’ora e un quarto di nuoto. No, voglio ascoltare il mio corpo e i muscoli rigidi. Ho bisogno di allungarmi, distendere le membra, la schiena i nervi tesi e allora l’acqua è la cosa migliore per farlo, ma nel momento in cui mi butto so già che tra 30 minuti uscirò salutando i miei amici che vanno a tutta e il coach Gian che mi sorriderà con affetto. Per oggi bene così. Senza sensi di colpa.

All’indomani mattina trovo un sms del mio collega e amico ciclista Maximilian Cellino, uno che si beve le granfondo come se fossero caffè al suo passo: “Vengo dalle tue parti in bici.Trezzano sul Naviglio-20130417-00299Mi vieni incontro?”. Ho diversi dolorini che mi inseguono dopo la gara di domenica. Mi tirano i nervi, i muscoli dietro la coscia. Sto chiedendo molto al mio corpo e temo possa cedere. Ma dall’altro lato non mi va di fermarmi troppo per perdere, come dire, la pedalata e la sensazione bella del vento che ti taglia la faccia quando pedali a 30 all’ora. Gli rispondo di sì. Ci incontriamo lungo il Naviglio Grande e procediamo assieme, pedalando morbidamente (oggi sono di scarico) per un paio d’ore fino all’Osteria di Cuggiono e al suo ponte bellissimo sul Naviglio. Un posto dove sembra di essere fuori dal tempo. Pensavo di stare peggio, sinceramente. Invece una volta scaldati i muscoli, vado senza, apparente, fatica. Max è molto forte in salita, è leggero come un grillo e quando vede che la strada sale diventa felice come un bambino davanti a una torta appena sfornata. Sulla strada del ritorno, ci sono alcune salitelle. E allora proviamo a fare degli scatti.  Il-naviglio-grande-presso-castelletto-di-cuggiono_512871Così in agilità. Alcuni con il rapporto leggero. Altri, invece, con quello più pesante e 40 pedalate al minuto. Mi spiega che è così che ci si allena con quelle che chiama SFR. Non so bene, ma comunque mi adeguo e lo seguo. Ci divertiamo a giocare a guardia e ladri, prima avanti tu e poi avanti io, dandoci cambi più o meno regolari. Nell’ultimo tratto in pianura incontriamo un ciclista di quelli precisi, con la bici ultimo tipo, l’abbigliamento ultimo tipo, le gambe depilate, insomma un figurino. – Io e Max siamo due tra i pochi fautori del ciclismo libero ma con i peli delle gambe: ci fa ridere la pretesa di tanti amatori che per sentirsi più simili ai campioni – che lo fanno per evitare il rischio di infezioni e per poter mettere sulle gambe oli e creme – si depilano a 50 anni. Ci fa un po’ ridere. E abbiamo deciso di non farlo. Per differenziarci dalla massa di quelli che hanno le cose tutte precise e sembrano dei figurini pronti per una sfilata di moda.  IMG140C’è poco da sfilare per quanto mi riguarda, ma solo da pedalare. E così, con il figurino incontrato per caso a un certo punto, cominciamo ad andare di buona lena nell’ultimo tratto in pianura, prima di Robecco sul Naviglio. Il Garmin segna 35 km/h, 38, ,40… Il figurino dalle gambe imberbi fatica a stare attaccato. Io e Max ci diamo i cambi regolari, sorridendo sotto i baffi. Lui non capisce perché. Alla fine ci ringrazia perché lo abbiamo tirato fino a qui.

Oggi, altro allenamento quotidiano, andrò al lavoro come faccio sovente fino a Milano e ritorno alla sera sul Naviglio pieno di ciclisti richiamati dal 25 aprile. Festa della liberazione e dell’antifascismo. Buona vita. Sui pedali.

Leave a Reply